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Ci sono film che passano attraverso di noi senza lasciare traccia. E poi ci sono quelli che restano. Si insinuano nei pensieri, si legano ai ricordi, diventano parte di ciò che siamo. Il buio oltre la siepe è uno di quei film. Una storia che non invecchia, che non perde mai la sua forza, che ogni volta ci riporta al centro di una verità scomoda, necessaria.
Da tempo volevo scriverne, ma mi dispiaceva parlarne senza poter dire a chi mi legge dove rivederlo. Non era su nessuna piattaforma in streaming e ogni volta che qualcuno mi chiedeva “Dove posso trovarlo?”, la risposta era sempre la stessa: da nessuna parte. Poi, sfogliando la guida TV – ebbene sì, la compro ancora – mi imbatto in un piccolo miracolo: Il buio oltre la siepe in programmazione Martedì sera su Rai Movie. Un’occasione da non perdere. Lo segnalo subito nella mia newsletter e poco dopo un’altra sorpresa: il film è stato caricato su RaiPlay (trovi il link in fondo all'articolo). Non si sa per quanto tempo resterà disponibile, ma è già qualcosa. Finalmente, è il momento giusto per parlarne.
Perché questo film non merita solo di essere visto (o rivisto), merita soprattutto di essere raccontato. Di essere esplorato, smontato pezzo dopo pezzo per capire come sia riuscito a diventare un’icona, un manifesto, un monito che non smette mai di ripetersi.
Il buio oltre la siepe è un testimone, un’eredità , un pezzo di coscienza collettiva. Il titolo originale, "To Kill a Mockingbird", rimanda a una delle metafore più potenti del romanzo di Harper Lee da cui è tratto: uccidere un tordo beffeggiatore è un peccato, perché significa spezzare qualcosa di innocente senza motivo. Ha lasciato un segno indelebile nella cultura e nella vita di milioni di persone: ha ispirato futuri avvocati a scegliere la strada della giustizia, genitori a chiamare i propri figli Atticus o Scout in omaggio ai suoi indimenticabili protagonisti, lettori di ogni generazione a interrogarsi su empatia, moralità , uguaglianza. Ancora oggi, il suo impatto si riflette perfino nella cultura pop: se guardate Grey’s Anatomy, sapete che il dottor Atticus Lincoln sceglie di chiamare suo figlio Scout.
Ma come nasce un film capace di racchiudere l’anima di una storia tanto potente? Quali scelte, sfide e intuizioni ne hanno segnato la realizzazione? E perché, ancora oggi, continua a parlarci con la stessa forza del primo giorno? Scopriamolo insieme.
Il titolo inglese è To kill a mokingbird ed è un film del 1962 diretto da Robert Mulligan con protagonisti Gregory Peck, Mary Badham e Philip Alford.La trama in breve: Nella cittadini di Maycomb in Alabama negli anni '30 l'avvocato Atticus Finch, rimasto vedovo, vive insieme ai due figli Jem e Scout e la domestica di colore Calpurnia. I bambini trascorrono le giornate a giocare e spinti dalla loro grande curiosità a spiare il figlio dei vicini di casa, un giovane di nome Boo Radley con problemi mentali che non si vede mai. Un giorno ad Atticus viene affidata la difesa di Tom Robinson un ragazzo di colore accusato da Bob Ewell di avere usato violenza su sua figlia Mayella. Durante il processo Atticus riesce a confutare alcuni dei punti chiavi dell'accusa, ma tutta questa vicenda provoca un'ondata di odio e razzismo che colpisce direttamente lui e i suoi figli.
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Alcune scene del film |
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Foto promozionali |
Un decennio di tumulti
Negli anni ’60, l’America è un campo di battaglia. Proteste, marce, segregazione, rivolte. Le strade bruciano, i sogni si infrangono, le speranze si rialzano. John F. Kennedy ha promesso riforme, ma il cambiamento è lento, faticoso, doloroso.
La legge dice che la segregazione è finita, la realtà racconta un’altra storia. Nel Sud, l’integrazione è una parola vuota, un’idea che fatica a diventare realtà . Nel 1961, i Freedom Riders – attivisti bianchi e neri – salgono sugli autobus per sfidare la segregazione nei trasporti pubblici. Vogliono dimostrare che la legge è uguale per tutti, ma la risposta è brutale. Autobus incendiati, arresti di massa, corpi ricoperti di lividi. Intanto, Martin Luther King Jr. continua la sua battaglia con la sola arma che conosce: le parole. Parole che scuotono il paese. Parole che molti non vogliono ascoltare.
Il cinema non può più restare in silenzio. Hollywood si accorge che il mondo sta cambiando e inizia, timidamente, a raccontarlo. Nel 1958, La parete di fango mette in scena la fuga di due prigionieri, uno bianco e uno nero, incatenati l’uno all’altro. Un’immagine potente, una metafora brutale: la società li vuole divisi, ma la sopravvivenza li costringe a restare insieme.
L’anno successivo, Lo specchio della vita racconta il dramma di una giovane afroamericana che cerca di sfuggire alla discriminazione passando per bianca. Vuole una vita diversa, un futuro senza umiliazioni. Ma può davvero rinnegare se stessa?
Il cinema sta cambiando. L’America sta cambiando. E proprio in questo momento di crisi, un film arriva per raccontare tutto questo con lo sguardo di una bambina. Ma prima di capire il suo impatto, dobbiamo fare un passo indietro. Dobbiamo scoprire chi ha avuto il coraggio di scriverlo.
La storia dietro la storia
Harper Lee è cresciuta in un piccolo angolo d’America dove tutti si conoscono, le stagioni scandiscono il ritmo della vita e i pettegolezzi viaggiano più veloci del vento tra le strade polverose. Monroeville, Alabama, negli anni ’30 è una cittadina come tante nel profondo Sud, con i suoi volti familiari, le sue tradizioni radicate e le sue barriere invisibili, quelle che separano bianchi e neri in una rigida gerarchia sociale. È qui che nasce la sua storia, tra i ricordi d’infanzia, le giornate passate a giocare con l’amico Truman Capote e le ombre della realtà che iniziano a prendere forma nella sua mente di bambina.
Suo padre, Amasa Coleman Lee, è un avvocato e legislatore statale, un uomo rispettato ma riservato, di poche parole e di grande integrità . È con lui che Harper impara il peso della giustizia, osservandolo nel suo ufficio, tra scartoffie e clienti in cerca di aiuto. Un giorno, nel 1923, Amasa difende un uomo afroamericano accusato ingiustamente: è una battaglia persa in partenza, in un’epoca in cui la colpa è spesso scritta nel colore della pelle. L’esito del processo non è difficile da immaginare, ma l’impatto su Harper è profondo. Anni dopo, quel padre inflessibile ma giusto diventerà Atticus Finch, l’anima del suo romanzo.
La scrittura per Harper Lee non è un passatempo, ma una necessità . Dopo gli studi in legge, capisce che la sua strada non è nei tribunali, ma tra le pagine di un libro. Si trasferisce a New York e, mentre di giorno lavora come impiegata alla Eastern Air Lines, di notte scrive, scavando nei ricordi della sua infanzia per dare forma alla storia che sente dentro. Nel 1957 invia il manoscritto a una casa editrice, ma la risposta non è quella sperata: il libro ha potenziale, ma assomiglia più a una raccolta di racconti che a un vero romanzo. Le consigliano di rielaborarlo, di dare più struttura alla narrazione. Nei due anni successivi lavora senza sosta con la sua editor, Tay Hohoff, riscrivendo intere parti, affinando dialoghi, costruendo personaggi. Finalmente, nel 1960, il libro viene pubblicato. Nessuno può ancora immaginare l’impatto che avrà .
Dal libro alla pellicola
Alan J. Pakula non è il tipico produttore hollywoodiano. Figlio di immigrati polacchi, laureato a Yale, è un uomo colto e metodico, con una visione del cinema lontana dalle logiche più commerciali degli studios. Dopo aver iniziato la carriera come sceneggiatore alla Warner Bros., ha trovato la sua strada nella produzione, formando una solida collaborazione con il regista Robert Mulligan. Insieme, nel 1957, hanno fondato la Pakula-Mulligan Productions e ottenuto un discreto successo con Fear Strikes Out, dimostrando di saper gestire storie complesse con sensibilità e autenticità .
Eppure, se non fosse stato per Isabel Halliburton, il loro percorso non avrebbe mai incrociato quello di Il buio oltre la siepe. È lei, un’amica di Pakula, a leggere il romanzo appena pubblicato e a insistere perché lui faccia lo stesso. Pakula la ascolta e rimane folgorato dalla storia.
Nel frattempo, il libro sta diventando un fenomeno editoriale. Quando esce nel luglio del 1960, l’editore J.B. Lippincott Company stampa un’edizione iniziale di appena 5.000 copie, senza immaginare il successo che sta per esplodere. In poche settimane, Il buio oltre la siepe scala le classifiche e si guadagna un posto fisso tra i bestseller del New York Times. La critica lo esalta, i lettori lo amano e nel 1961 Harper Lee vince il Premio Pulitzer, consacrando il suo romanzo come un classico istantaneo.
Il problema è che nessuno a Hollywood sembra pensarla come Pakula. I diritti cinematografici del libro fanno gola a molti, ma gli studios principali esitano. Come si può vendere un film senza una storia d’amore, senza grandi scene d’azione e con protagonisti dei bambini? La risposta più ovvia, per molti, sarebbe stata Walt Disney, ma Il buio oltre la siepe non è una fiaba, e nessuno pensa che possa funzionare sul grande schermo.
Ma Pakula non si arrende. Riesce a ottenere da Harper Lee e dalla sua agente, Annie Laurie Williams, la promessa che non venderanno i diritti a nessuno finché lui e Mulligan non avranno messo insieme un’offerta solida. Harper Lee rimane colpita dalla sua passione e dal suo rispetto per il romanzo, e accetta. Nei mesi successivi, mentre Il buio oltre la siepe continua a dominare le classifiche dei bestseller e Hollywood inizia finalmente a interessarsi al progetto, Pakula stringe un accordo con l’autrice. A gennaio 1961, i diritti cinematografici sono suoi.
Per la regia, la scelta è chiara fin dall’inizio: Robert Mulligan. Il suo stile, sensibile e misurato, lo rende perfetto per una storia raccontata attraverso lo sguardo di una bambina. Nato nel Bronx da una famiglia irlandese, Mulligan ha avuto un percorso insolito: ha studiato per diventare sacerdote, ma ha lasciato il seminario per arruolarsi nei Marines durante la Seconda Guerra Mondiale. Dopo la guerra, ha conseguito una laurea in tecnologia radiofonica alla Fordham University e ha iniziato la sua carriera come fattorino alla CBS. Da lì, è salito di grado, fino a dirigere un centinaio di episodi della serie Suspense, affinando il suo talento nella narrazione visiva. Trasferitosi a Hollywood, dopo Prigioniero della paura ha diretto diversi film di successo, tra cui Ragazzi di provincia, Il grande impostore e Torna Settembre.
Per trasformare il film in realtà , però, serve il sostegno di una major. La Universal si interessa al progetto e firma per distribuirlo, ma prima di partire con la produzione c’è un ostacolo: il finanziamento. Pakula e Mulligan sono nomi rispettati ma non ancora abbastanza potenti per convincere Hollywood a investire nel film. Serve un grande attore, una star il cui nome possa garantire il budget necessario.
Il cast perfetto
Trovare l’attore giusto per interpretare Atticus Finch è una sfida tutt’altro che semplice. Il personaggio incarna integrità morale, giustizia e una forza tranquilla che impone rispetto senza mai ricorrere all’autorità . Serve qualcuno capace di trasmettere tutto questo con naturalezza, senza eccessi o retorica.
Harper Lee ha le idee chiare fin dall’inizio. Anche se ha promesso di lasciare libertà di scelta a Pakula e Mulligan, non può fare a meno di immaginare Spencer Tracy nel ruolo di Atticus. Decide quindi di inviare un messaggio all’attore attraverso la William Morris Agency, chiedendogli di leggere il copione. Tracy, però, ha appena iniziato le riprese di Il diavolo alle 4 con Frank Sinatra e non ha nemmeno il tempo di prendere in considerazione il progetto.
Poco dopo, a sorpresa, si fa avanti Bing Crosby. L’attore, celebre per la sua carriera musicale e cinematografica, ha già dimostrato di poter affrontare ruoli drammatici, ottenendo anche una nomination all’Oscar per La ragazza di campagna nel ‘54. Tuttavia, il suo periodo d’oro al botteghino risale agli anni ’40 e il suo nome non ha più lo stesso peso commerciale. Soprattutto, per quanto abbia talento, non sembra possedere il carisma necessario per rendere giustizia alla complessità di Atticus Finch.
A questo punto entra in gioco la Universal, che ha già firmato per distribuire il film e vuole spingere per una sua grande star: Rock Hudson. Negli anni precedenti, Hudson ha dimostrato il suo talento anche in ruoli più complessi, specialmente nei melodrammi diretti da Douglas Sirk ma per Pakula e Mulligan manca di quella gravitas, quella naturale autorevolezza che rendono Atticus Finch un simbolo di giustizia e moralità .
Pakula prende una decisione. C’è un solo attore che può incarnare Atticus come lo immagina: Gregory Peck. Gli invia una copia del romanzo, sperando che possa convincerlo. Peck inizia a leggere e, fin dalle prime pagine, capisce che quella storia è speciale. Passa l’intera notte sul libro e, alle otto del mattino successivo, chiama Pakula e Mulligan: "Quando cominciamo?". In un’intervista dirà : "Non dovevo recitare per essere Atticus, mi veniva naturale. Sono cresciuto in una piccola città della California, dove passavamo le estati scalzi, arrampicandoci sugli alberi e rotolando giù per le strade dentro vecchi pneumatici.”
Con Gregory Peck a bordo, il progetto è pronto per un altro passo fondamentale: la scelta dello sceneggiatore. Harper Lee ha deciso di non occuparsene direttamente, e il compito di adattare il suo romanzo viene affidato a Horton Foote.
L’intera storia di Il buio oltre la siepe è vista attraverso gli occhi di Scout, e il successo del film dipende in gran parte dalla capacità di rendere autentica la prospettiva dell’infanzia. Pakula e Mulligan sanno che devono trovare bambini veri, non giovani attori già abituati alle pose impostate di Hollywood. Vogliono spontaneità , freschezza, un’energia naturale che solo chi non è ancora stato toccato dai meccanismi del cinema può avere.
Per il ruolo di Jem, il fratello maggiore di Scout, il regista viene indirizzato su Philip Alford, un tredicenne di Birmingham, Alabama, senza alcuna esperienza cinematografica. A segnalare il suo nome è James Hatcher, un regista teatrale locale che contatta la madre di Philip e le suggerisce di portarlo al provino. Alford inizialmente non vuole nemmeno partecipare, ma quando sua madre gli dice che così potrà saltare mezza giornata di scuola, cambia idea all’istante.Anche Mary Badham, la bambina che diventerà l’anima del film nel ruolo di Scout, arriva al provino quasi per caso. Bodie Boatwright, incaricata del casting per i bambini del Sud, chiama sua madre e le suggerisce di portarla a un’audizione. Mary non ha mai recitato in vita sua e si presenta senza aver preparato nulla. Ai provini non le viene chiesto di leggere battute o di interpretare una scena, ma di svolgere attività quotidiane: tra le prove, c’è perfino tagliare la legna. La sua espressione vivace e la sua naturalezza colpiscono immediatamente la produzione. La chimica tra Alford e Badham è immediata. I due bambini, pur non conoscendosi prima di quel momento, scoprono di abitare a meno di un chilometro di distanza l’uno dall’altra. Con i loro lineamenti simili e il modo in cui interagiscono, sembrano davvero fratello e sorella.
Durante le riprese, Mary Badham viene “adottata” dalla famiglia Peck. Suo padre non può lasciare l’Alabama per accompagnarla sul set, così Gregory Peck e sua moglie Veronique la ospitano spesso per farla sentire a casa. Il legame tra Peck e la piccola attrice si rafforza al punto che, per tutta la vita, lei continuerà a chiamarlo “Atticus”, e lui la chiamerà “Scout”.
Se la storia di Il buio oltre la siepe è raccontata attraverso gli occhi di Scout, è il volto di Tom Robinson a restare impresso. Le sue espressioni, la sua voce, la sua dignità silenziosa rendono impossibile non parteggiare per lui. È un uomo innocente, accusato ingiustamente di uno dei crimini più infamanti. Per interpretarlo, la produzione sceglie Brock Peters, un attore dalla presenza scenica imponente e dalla voce profonda, che fino a quel momento ha interpretato quasi esclusivamente ruoli da villain (come il sergente Brown in Carmen Jones). I produttori sono inizialmente scettici, temono che il pubblico possa non vederlo come una vittima. Ma la sua nobiltà d’animo e la sua vulnerabilità convincono Pakula e Mulligan. Dopo anni trascorsi a interpretare personaggi negativi, il ruolo di Tom Robinson gli permette di ottenere ruoli più sfaccettati. Non diventerà mai protagonista nel cinema hollywoodiano, ma lavorerà in film di prestigio come L'uomo del banco dei pegni e dagli anni ‘70, diventerà una figura importante nell’universo di Star Trek, interpretando l’ammiraglio Cartwright.
Sapete chi ha sfiorato il ruolo di Tom Robinson? James Earl Jones. Attore di teatro, cinema e doppiatore dalla voce leggendaria, ha sostenuto un provino per la parte, ma alla fine è stato scelto Peters. Jones, qualche anno dopo, avrebbe prestato la sua inconfondibile voce a Darth Vader in Star Wars e a Mufasa ne Il re leone.
Se Brock Peters viene scelto per trasmettere dignità e dolore, James Anderson viene selezionato per l’esatto opposto. Il suo Bob Ewell è il volto del pregiudizio e della violenza: il vero antagonista del film, un uomo consumato dall’odio e dall’ignoranza, disposto a tutto pur di far condannare Tom Robinson.
Anderson è un attore di metodo, totalmente immerso nei suoi personaggi. È lui stesso a contattare la produzione, dichiarando di “conoscere quest’uomo intimamente”. La sua dedizione al ruolo lo rende inquietante anche fuori dal set: molti colleghi lo evitano, trovando il suo atteggiamento disturbante. Gregory Peck, sempre gentile con tutti, prova a dargli un suggerimento su una scena, ma Anderson lo liquida bruscamente con un’occhiataccia e un commento sprezzante: “Tu non mi insegni un bel niente.”
Nonostante il suo carattere difficile, la sua performance è indimenticabile. Bob Ewell è sgradevole in ogni gesto e in ogni parola, una figura che incarna la crudeltà e il fanatismo più cieco. Dopo Il buio oltre la siepe, però, la carriera di Anderson non decolla: il suo talento è evidente, ma la sua reputazione di attore difficile lo allontana dai grandi ruoli.
Gli ultimi due personaggi chiave di Il buio oltre la siepe si muovono agli estremi opposti della narrazione: Dill, il bambino vivace che trascorre l’estate con Scout e Jem, e Boo Radley, la presenza silenziosa e inquietante che incombe sulla loro infanzia.
Per il ruolo di Dill, la produzione sceglie John Megna, un bambino con una forte personalità e un’energia travolgente. Il personaggio è ispirato a Truman Capote, amico d’infanzia di Harper Lee, che da piccolo trascorreva le estati da una zia a Monroeville, la cittadina natale dell’autrice. Come Dill nel film, Capote era un bambino brillante e chiacchierone, più piccolo degli altri e spesso considerato eccentrico. La stessa Harper Lee, nel corso degli anni, ha confermato che il personaggio è un omaggio al futuro scrittore di A sangue freddo e Colazione da Tiffany (nonchè organizzatore del black and white ball, il ballo del secolo).
Megna debutta a Broadway a soli sette anni e porta sul set tutta l’energia di Dill: vivace, sveglio, con una parlantina instancabile, è il perfetto compagno di giochi per Scout e Jem. Continuerà a recitare al cinema e in TV, apparendo in Vittorie perdute con Burt Lancaster, ma negli anni ’80 lascerà la recitazione per dedicarsi all’insegnamento. La sua vita sarà segnata dalla malattia: morirà di AIDS nel 1995, a soli 42 anni.
Boo Radley non parla. Non ha bisogno di farlo. Per anni è stato un’ombra dietro una finestra, una leggenda sussurrata dai bambini, un volto che nessuno ha mai visto davvero. È il mistero, la paura del diverso, l’ignoto che Scout e Jem cercano di decifrare.
E poi, un giorno, appare. Nessuna grande entrata, nessuna battuta memorabile. Solo uno sguardo. E quello basta.
A dare un volto a questa figura enigmatica è un giovane attore ancora sconosciuto. Robert Duvall è destinato a diventare una leggenda, ma ancora non lo sa. Il suo nome finisce tra le mani di Mulligan grazie a Horton Foote, sceneggiatore del film, che lo aveva notato anni prima mentre interpretava un alcolizzato nel dramma teatrale Voci nella notte. Foote vede in lui qualcosa di raro: un talento che non ha bisogno di gesti plateali, una presenza capace di riempire lo schermo senza dire una parola.
Per trasformarsi in Boo Radley, Duvall evita il sole per sei settimane e si tinge i capelli di biondo pallido. Deve sembrare qualcuno che non ha mai veramente vissuto fuori dalle mura di casa. Quando finalmente appare sullo schermo, basta un’inquadratura per cambiare tutto. La paura che lo circondava si dissolve, e quello che resta è solo un uomo fragile e silenzioso.
Sarà solo l’inizio. Duvall diventerà uno degli attori più rispettati di Hollywood, costruendo una carriera straordinaria. Nel 1972 interpreterà Tom Hagen, l’avvocato della famiglia Corleone ne Il Padrino, dando volto e voce a un personaggio che diventerà iconico. Un uomo di legge immerso nel crimine, un consigliere fedele capace di muovere i fili del potere con freddezza e intelligenza. E nel 1984 vincerà l’Oscar per Tender Mercies, scritto proprio da Horton Foote..
Sul set
Le riprese iniziano il 18 febbraio 1962 (si concluderanno 3 mesi dopo), in un’atmosfera intensa, fatta di momenti profondamente emozionanti e di episodi più leggeri, in cui il cast si lascia andare alla spontaneità . Gregory Peck, sempre professionale e affabile, diventa un punto di riferimento per tutti, soprattutto per i giovani attori.
Uno dei momenti più commoventi avviene il primo giorno sul set. La prima scena girata è quella in cui Atticus Finch torna a casa dopo una giornata di lavoro, accolto dall’entusiasmo dei suoi figli. La ripresa viene effettuata con una dolly, una cinepresa montata su un carrello che segue il movimento degli attori mentre avanzano lungo il marciapiede. Harper Lee è sul set e cammina dietro la macchina da presa, seguendo con lo sguardo Gregory Peck e i bambini.
Mentre osserva la scena, una lacrima le scende silenziosamente sulla guancia. Peck se ne accorge, ma aspetta la fine della ripresa per avvicinarsi a lei. Il regista Robert Mulligan è soddisfatto: la scena è perfetta, buona la prima. A quel punto Peck si gira verso Harper Lee e le chiede perché stia piangendo. Lei, ancora scossa, gli risponde: "Sembravi esattamente mio padre." Amasa Lee, l’uomo a cui si è ispirata per Atticus e vedere Peck interpretarlo con tanta autenticità è per lei un colpo al cuore. Perfino il piccolo dettaglio della pancia leggermente arrotondata dell’attore le ricorda suo padre. Peck incassa ma risponde con il suo tipico humor: "Non è una pancia, Harper. È recitazione."
La presenza di bambini sul set richiede un approccio particolare. Robert Mulligan capisce presto che troppe ripetizioni delle scene rischiano di rendere le loro interpretazioni meno spontanee. Decide quindi di lasciarli giocare tra un ciak e l’altro, cercando di mantenere un’atmosfera il più naturale possibile
I due giovani attori che interpretano Jem e Scout mostrano caratteri molto diversi, riflettendo in parte il rapporto tra i loro personaggi nel film. Mary Badham (Scout) è vivace e spontanea, ma proprio questa naturalezza la porta spesso a distrarsi o a dimenticare le battute. Le scene a tavola sono quelle che la mettono più in difficoltà , costringendo il cast a ripetere diverse volte la sequenza. A complicare ulteriormente le cose, la sua abitudine di ripetere le battute degli altri attori anche quando non è in scena, cosa che infastidisce non poco Philip. Dopo numerosi ciak, la sua pazienza si esaurisce e decide di “vendicarsi”. Durante la scena in cui Jem spinge Scout dentro un copertone, invece di farla rotolare dolcemente, la lancia con più forza del necessario, puntando direttamente un camion delle attrezzature. fortunatamente, Mary non si fa nulla.
Durante le riprese, Peters regala una performance straordinaria, tanto intensa da coinvolgere emotivamente anche Gregory Peck. Nella scena del processo, quando Tom Robinson testimonia in sua difesa, l’attore si lascia trasportare dalla forza del momento e scoppia in lacrime spontaneamente, senza che fosse previsto dalla sceneggiatura. Peck, che si trova di fronte a lui per interrogarlo, non può distogliere lo sguardo, ma per non lasciarsi travolgere dall’emozione adotta un escamotage: invece di guardare Peters negli occhi, fissa un punto oltre di lui, cercando di mantenere il controllo della scena.
Harper Lee è così riconoscente a Gregory Peck per la sua interpretazione che, alla fine delle riprese, gli fa un regalo speciale: l’orologio da taschino appartenuto a suo padre, morto il 15 aprile durante la lavorazione del film e che purtroppo non riuscirà a vederlo completato. Lo aveva visto a Monroeville, dove Amasa Lee lo portava con sé ogni giorno, infilato nella tasca del gilet, con la catena che passava attraverso un’asola. Peck, commosso, impara a tenerlo esattamente nello stesso modo e lo replica nei suoi gesti, come un omaggio silenzioso all’uomo che ha ispirato Atticus Finch.
Location
La cittadina di Maycomb, Alabama, prende vita sugli schermi con un realismo sorprendente, ma chi si aspetta di ritrovare le strade polverose del Sud rimarrebbe sorpreso: il film è stato interamente girato negli Universal Studios di Hollywood.
All’inizio, Robert Mulligan e Alan J. Pakula considerano la possibilità di girare a Monroeville, la città natale di Harper Lee, per rendere omaggio ai luoghi che hanno ispirato il romanzo. Ma quando il reparto scenografico arriva sul posto, la delusione è inevitabile: Monroeville è cambiata troppo. Le case sono state ristrutturate, le strade modernizzate, e l’atmosfera della piccola città degli anni ’30 è ormai scomparsa. Serve un’alternativa.
A questo punto, la produzione prende una decisione ambiziosa: ricostruire completamente Maycomb all’interno degli studios. Gli scenografi Alexander Golitzen e Henry Bumstead progettano un intero quartiere da zero, composto da oltre trenta edifici. Per dare autenticità al set, evitano di costruire semplici facciate scenografiche e decidono di utilizzare vere case in legno provenienti da un quartiere della San Fernando Valley, destinato alla demolizione per far posto a un’autostrada. Le case vengono smontate, trasportate e ricostruite pezzo per pezzo negli studios, donando al set un aspetto vissuto e credibile.
Uno degli elementi più iconici del film è il tribunale di Maycomb, il cuore del dramma di Tom Robinson. Nel film, l’aula di tribunale è una riproduzione esatta del vero Tribunale della Contea di Monroe, a Monroeville, Alabama. Prima dell’inizio delle riprese, i designer di produzione viaggiano fino a Monroeville, scattano fotografie, prendono misure dettagliate e studiano ogni particolare della struttura originale. Tornati a Hollywood, ricreano una copia fedele del tribunale all’interno degli Universal Studios, rispettando ogni dettaglio architettonico. Quando Harper Lee visita il set, resta senza parole. La facciata viene riutilizzata con alcune modifiche anni dopo, diventando la celebre piazza con l’orologio in Ritorno al futuro (1985).
L’attenzione ai dettagli è maniacale. Persino la casa di Atticus Finch nasconde piccoli indizi della sua epoca. All’esterno della cucina, per esempio, si notano due tubature che entrano nel muro, un dettaglio apparentemente insignificante, ma che riflette una realtà storica: negli anni della Grande Depressione, molte case non avevano ancora impianti idraulici interni e l’acqua corrente veniva spesso aggiunta successivamente con tubature visibili.
La musica
La colonna sonora di Il buio oltre la siepe non è semplicemente un accompagnamento sonoro, ma un vero e proprio racconto musicale che dà voce ai sentimenti, ai contrasti e ai temi del film. Elmer Bernstein, uno dei più versatili e influenti compositori della Hollywood classica, costruisce una partitura che non si limita a sottolineare le emozioni delle scene, ma le arricchisce, le amplia e, in alcuni momenti, le anticipa. Noto soprattutto per le sue colonne sonore epiche e grandiose, come I dieci comandamenti (1956) e I magnifici sette (1960), Bernstein per Il buio oltre la siepe, sceglie un approccio completamente diverso. Il film richiede una partitura intima e delicata, capace di restituire lo sguardo ingenuo di Scout senza perdere la tensione drammatica che accompagna la storia. Bernstein rinuncia alle orchestrazioni imponenti e costruisce la sua colonna sonora su temi semplici, spesso ispirati alla musica per pianoforte che un bambino potrebbe suonare.
A dare vita a questa partitura è anche un giovane John Williams, che all’epoca muoveva i primi passi nel mondo del cinema. Oggi celebre per Star Wars, Indiana Jones, E.T. e Harry Potter, Williams suona qui il pianoforte all’interno dell’orchestra, contribuendo a creare quel senso di intimità e leggerezza che caratterizza i momenti più delicati della colonna sonora.
Ne Il buio oltre la siepe la colonna sonora racconta, attraverso le scelte timbriche e ritmiche, il passaggio dall’infanzia all’età adulta, alternando momenti di spensieratezza e mistero a passaggi più cupi e intensi. Ci sono alcune tracce sulle quali vorrei soffermarmi.
1. Main Title I titoli di apertura di Il buio oltre la siepe sono un perfetto esempio di come suono e immagine possano fondersi per raccontare una storia ancora prima che il film inizi. A progettarli è Stephen Frankfurt, designer e pubblicitario innovativo, che in seguito firmerà campagne iconiche per film come Rosemary’s Baby, Network, All That Jazz, Kramer vs. Kramer, Superman e La scelta di Sophie. Alan J. Pakula nota il suo talento e lo sceglie per realizzare i titoli di testa del film, affidandogli il compito di immergere lo spettatore nel mondo dell’infanzia di Scout Finch.
Il film si apre con un delicato tema suonato al pianoforte, una melodia fragile e sospesa che sembra evocare un ricordo lontano. Ma dopo pochi secondi, la musica si interrompe bruscamente: compare una scatola di sigari, e una piccola mano la apre con cura.
Il silenzio è rotto solo dal ticchettio di un orologio che proviene dalla scatola, mentre la cinepresa indugia sugli oggetti contenuti al suo interno: una biglia, una bambolina di legno, qualche moneta, un pezzo di gesso. Una bambina, fuori campo, inizia a canticchiare dolcemente.
Poco dopo, un flauto delicatissimo si unisce alla sua voce, accompagnato da un’arpa leggera, violini e clarinetto. La melodia è lieve, eterea, quasi come se provenisse da un sogno. La bambina gioca con gli oggetti, spostandoli con le dita, mentre la musica dipinge un’atmosfera di innocenza e spensieratezza.
Poi, all’improvviso, prende un pastello nero per iniziare a disegnare prima il titolo del film, To Kill a Mockingbird, poi un uccello. Nel farlo, urta una biglia, che rotolando ne tocca un’altra. È un momento impercettibile, ma quel semplice movimento cambia tutto. La colonna sonora si trasforma: gli archi entrano in un crescendo emozionante, portando con sé un senso di nostalgia e dolce malinconia. La melodia, pur rimanendo delicata, si espande, come se iniziasse a svelare qualcosa di più grande.
2. Creepy Caper / Peek-a-Boo Bernstein usa la musica per amplificare la tensione quando i bambini si introducono furtivamente nel giardino dei Radley. Il tema dell’infanzia, esitante e frammentato, è accompagnato da bassi inquietanti e effetti sonori di fagotto e pianoforte, creando un senso di incertezza. A 0:56, un accenno al tema di Boo Radley su flauto e pianoforte suggerisce la sua presenza invisibile. Man mano che Jem si avvicina al portico, xilofono e archi agitati aumentano la tensione, fino al culmine: un’ombra si avvicina e Scout urla, mentre la musica esplode in un crescendo di puro terrore.
3. Ewell’s Hatred Questo brano contrappone l’innocenza dei bambini alla brutalità del razzismo. Mentre Atticus si reca dai Robinson, Jem e Scout lo aspettano in macchina. Un dolce duetto di flauto e oboe accompagna il tenero incontro tra Jem e il figlio di Tom. Ma a 1:30, l’atmosfera cambia con l’arrivo minaccioso di Bob Ewell. Gli archi scendono cupi e ripetitivi, mentre i legni stridono con dissonanze sinistre, traducendo in musica la sua ostilità . La tensione culmina quando Atticus lo affronta, lasciando il pubblico con un senso di inquietudine.
4. Guilty Verdict Bernstein fa una scelta coraggiosa: durante il verdetto, la musica si fa da parte, lasciando spazio alla recitazione intensa di Gregory Peck.
Solo dopo la sentenza, un lamento religioso di archi e legni introduce un senso di solenne dolore. Il tema dei bambini torna delicato e malinconico, accompagnando lo sguardo di Scout e Jem, mentre il mondo attorno a loro diventa improvvisamente più duro e ingiusto.
5. Assault in the Shadow La colonna sonora diventa il cuore pulsante della scena dell’aggressione. Strumenti a fiato e archi dissonanti creano un senso di panico crescente, mentre Jem e Scout vengono attaccati. A 0:28, pianoforte e ottoni martellanti intensificano il caos, fino al momento in cui un secondo uomo interviene. Un improvviso crescendo segna la fine dello scontro, mentre la musica diventa misteriosa e inquieta, accompagnando Scout che cerca di capire cosa sia appena accaduto.
6. Boo Who
È il momento più emotivamente intenso del film. Scout, finalmente, vede Boo Radley. Ora, in piedi dietro una porta, con lo sguardo timido e le mani nervose, Boo si rivela per quello che è: un uomo fragile, silenzioso, quasi infantile. Bernstein accompagna questa rivelazione con la versione più pura e completa del tema di Boo Radley, un motivo dolce e delicato che sembra nascere dal nulla. Suonato da un violino leggero e tremolante, il tema esprime insieme vulnerabilità e innocenza, quasi fosse il riflesso musicale dello stesso tema dei bambini.
Quando Scout prende la sua mano e lo guida accanto a Jem, la musica si scalda con un tocco rassicurante, intrecciando il tema di Boo con il tema dell’infanzia. È un momento di profonda umanità : la paura si dissolve, lasciando spazio alla comprensione e alla tenerezza.
Ma Bernstein non chiude con un senso di assoluta serenità . Una sottile eco del tema di Bob Ewell risuona in lontananza, come un'ultima ombra che sfiora la scena, ricordandoci che la giustizia non sempre trionfa e che il mondo degli adulti rimane complesso e ambiguo.
Un successo destinato a durare
Il buio oltre la siepe arriva nelle sale americane il 25 dicembre 1962 e viene accolto con grande entusiasmo. Il New York Times lo definisce “un’opera toccante e sincera, un film che resta impresso nella memoria”, mentre Variety elogia la regia di Robert Mulligan per la sua capacità di “catturare il mondo dell’infanzia senza sentimentalismi forzati”. Il successo è immediato: con un budget di circa 2 milioni di dollari, il film ne incassa al botteghino oltre 13 nei soli Stati Uniti, diventando uno dei titoli più visti dell’anno.
Anche l’Academy non tarda a riconoscerne il valore, e il film ottiene otto nomination agli Oscar. La statuetta più attesa è quella per Gregory Peck, che però non si aspetta di vincere: è convinto che il premio andrà a Jack Lemmon per I giorni del vino e delle rose. Ma quando Sophia Loren annuncia il suo nome, Peck rimane sorpreso, stringendo forte tra le mani l’orologio appartenuto al padre di Harper Lee, che la scrittrice gli ha donato in segno di riconoscenza.
Mary Badham, a soli dieci anni ottiene una candidatura come miglior attrice non protagonista, diventando una delle più giovani candidate nella storia dell’Academy, anche se a vincere sarà la diciassettenne Patty Duke per Anna dei miracoli. Oltre a Migliore attore protagonista il film porta a casa altre due statuette, per Miglior Sceneggiatura Non Originale a Horton Foote e Miglior Scenografia.
Negli anni, il prestigio del film non fa che crescere. Nel 1995 viene selezionato per il National Film Registry, mentre nel 2003 l’American Film Institute lo proclama il miglior film giuridico di sempre. Ma il riconoscimento più significativo arriva nel 2007, quando Atticus Finch viene eletto il più grande eroe cinematografico di tutti i tempi.
Dietro ogni grande film c’è un mondo intero che lo ha generato. Una scrittrice che ha trasformato la sua infanzia in un romanzo indimenticabile, un attore che ha dato volto alla giustizia con la sola forza dello sguardo, una squadra di artisti e tecnici che ha costruito Maycomb mattone dopo mattone, fotogramma dopo fotogramma.
Oggi, quel mondo sopravvive in ogni scena, in ogni dialogo, in ogni dettaglio che ha reso Il buio oltre la siepe un’eredità più che un semplice film. Basta rivederlo per ritrovare tutto: l’America che stava cambiando, il coraggio di raccontare certe storie, e un cinema che sapeva ancora essere eterno.
QUOTES:
Atticus: Se riesci a imparare una cosa sola, vedrai che ti troverai molto meglio anche a scuola. Non riuscirai mai a capire una persona se non cerchi di vedere le cose anche dal suo punto di vista.
Scout: E cioè?
Atticus: Devi cercare di metterti nei suoi panni e andarci a spasso.
Atticus: Scout, lo sai che cos'è un compromesso?
Scout: Fregare la legge?
Atticus : Me lo ricordo quando mio padre mi regalò quel fucile; mi disse [...] di ricordarmi che era peccato sparare a un usignolo [...] perché sono uccellini che non fanno niente di male, cantano e fa piacere sentirli, non mangiano le sementi, non fanno il nido nelle madie, non fanno altro che rallegrarci con il loro cinguettio.
Atticus: Ci sono tante cose brutte a questo mondo. Vorrei tenertene sempre lontano. Ma non è sempre possibile.
Sceriffo: Lasciamo che i morti seppelliscano i morti signor Finch.
Scout: I vicini portano da mangiare quando muore qualcuno, portano dei fiori quando qualcuno è ammalato, e altre piccole cose in altre occasioni. Boo era anche lui un nostro vicino, e ci aveva dato due pupazzi fatti col sapone, un orologio rotto con la catena, un coltello... e le nostre vite. Una volta Atticus mi aveva detto: "Non riuscirai mai a capire una persona se non cerchi di metterti nei suoi panni, se non cerchi di vedere le cose dal suo punto di vista". Ebbene, io quella notte capii quello che voleva dire. Adesso che il buio non ci faceva più paura, avremmo potuto oltrepassare la siepe che ci divideva dalla casa dei Radley, e guardare la città e le cose dalla loro veranda. Accadde tutto in una notte, la notte più lunga, più terribile... e insieme la più bella di tutta la mia vita.
CLIP:
Boo
Finale
LINK UTILI:
Lo specchio della vita 👉 qui
Truman Capote e Il ballo del secolo 👉 qui
Il film su Raiplay (anche non so per quanto resterà in catalogo) 👉 qui
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- venerdì, marzo 14, 2025
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