Benvenuti al terzo appuntamento dell’affascinante avventura nel cuore del cinema noir, attraverso la rubrica "Viaggio nel Noir". Negli episodi precedenti, ho sondato le profondità delle radici letterarie che alimentano la vitalità di questo genere e omaggiato i maestri che ne hanno scolpito l'immortalità nel pantheon del cinema (trovate il mio articolo qui). Vi ho fatto immergere nei labirinti tortuosi dei personaggi, delle trame e delle ambientazioni, delineando i contorni dell'universo noir (qui).
Ma oggi, l’esplorazione va oltre la superficie, per rivelare le magie nascoste che si celano dietro l'obiettivo e avventurarci nel cuore pulsante della creazione cinematografica: l'impiego delle tecniche visive, le luci e il tempo della narrazione. Siete pronti ad immergervi in questa danza di luci e ombre, in questa sinfonia visiva che ha definito l'estetica noir?
Uno dei tratti distintivi del genere noir è l’uso delle inquadrature e dei movimenti di camera, che contribuisce a creare un senso di oppressione e claustrofobia.
Gli ambienti in cui si svolgono le scene sono spesso caratterizzati da una forte geometria, con linee verticali e orizzontali che si intersecano e si sovrappongono, come ombre allungate che si potevano realizzare con le sbarre della prigione o con le veneziane delle finestre.
Ne Il falcone maltese (1941) di John Huston, ad esempio, le linee verticali e orizzontali degli edifici e degli arredi interni accentuano la sensazione di prigionia dei personaggi, intrappolati in un labirinto di bugie e inganni.
L'attenzione alla composizione e alla simmetria all'interno dell'inquadratura svolge un ruolo cruciale in questo processo. Non solo questi elementi forniscono un senso di equilibrio visivo, ma sottolineano anche l'alienazione e l'oppressione che i personaggi del noir spesso affrontano.
Il noir si contraddistingue per l'uso di movimenti di camera che sottolineano le angolazioni estreme: i primissimi piani, le riprese oblique, decentrate e quelle dal basso verso l'alto sono le scelte più frequenti. Questi movimenti di camera, piuttosto che semplicemente documentare gli eventi, tendono a deformare la figura e il volto dei personaggi, contribuendo a creare un senso di estraniamento, di tensione e di instabilità .
Il genere noir evita di utilizzare il movimento di camera noto come campo lungo, che offre una visione complessiva dell'ambientazione e dei personaggi. L'omissione di questo particolare movimento di camera è intenzionale: al posto di dare allo spettatore una vista d'insieme che potrebbe offrire una sensazione di sicurezza o di comprensione, il noir opta per mantenere lo spettatore in una costante sensazione di ansia e mistero. Questa mancanza di una visione d'insieme rafforza l'effetto claustrofobico, il senso di oppressione e la tensione che sono caratteristiche centrali del genere noir.
Nel caso di L’infernale Quinlan (1958), la celebre carrellata iniziale è una scena molto complessa che coinvolge numerosi personaggi e ambienti, e che segue i personaggi mentre camminano nella strada. La scena inizia con il primo piano di una bomba che viene nascosta in un'auto, e poi la macchina da presa si allontana gradualmente per mostrare l'ambiente circostante. la scena è stata girata in modo tale da sembrare un'unica ripresa continua, senza tagli visibili, il che rende l'effetto ancora più straordinario e impressionante.
La macchina da presa segue poi il personaggio di Mike Vargas (interpretato da Charlton Heston) e sua moglie Susie (interpretata da Janet Leigh) mentre attraversano la frontiera tra Messico e Stati Uniti, e poi segue il personaggio di Quinlan (interpretato da Orson Welles) mentre si avvicina alla scena del crimine. La macchina da presa si muove in modo fluido e continuo, creando un senso di movimento e di spazialità nella scena.
Nella narrazione noir, l'inquadratura soggettiva assume un ruolo chiave nel coinvolgere lo spettatore nel mondo interiore del personaggio, e viene spesso utilizzata per esplorare le tensioni psicologiche e i conflitti morali.Ad esempio, in Una donna nel lago (1947) diretto da Robert Montgomery, l'inquadratura soggettiva è usata in modo innovativo per tutta la durata del film. Questo thriller è unico perché il pubblico vede l'intera storia dal punto di vista del protagonista, il detective privato Philip Marlowe, che viene inquadrato solo dinnanzi agli specchi, il che coinvolge lo spettatore in modo diretto nel mistero. Questa tecnica immerge lo spettatore nell'azione, rendendolo partecipe delle scoperte e dei pensieri di Marlowe, ma allo stesso tempo limitando la sua conoscenza agli elementi visivi e sonori percepiti dal protagonista.
Allo stesso modo, la sequenza finale di Io ti salverò (1945) di Alfred Hitchcock presenta un esempio emblematico di inquadratura soggettiva nel noir. In questa scena, l'uso di un'arma rivolta verso la cinepresa - e quindi verso lo spettatore - trasmette il senso di minaccia e pericolo che il personaggio sta vivendo. Questa tecnica sfrutta l'identificazione del pubblico con la prospettiva del personaggio per generare tensione e suspense.
L'uso di luci e ombre
Il chiaroscuro è una tecnica visiva che utilizza il contrasto tra zone di luce e di ombra per creare un effetto di profondità e tridimensionalità nelle immagini. Originaria dell'arte pittorica rinascimentale italiana, è una tecnica molto utilizzata nel genere noir per creare un'atmosfera di tensione e mistero, in quanto conferisce drammaticità alle scene enfatizzando il conflitto interiore dei personaggi e la dicotomia tra bene e male.
Il ricorso al chiaroscuro permette di delineare i lineamenti dei volti e sottolinea le espressioni, creando inoltre un senso di ambiguità morale perchè le zone d'ombra nascondono i veri intenti dei personaggi o le loro azioni criminali.
Uno degli esempi più famosi dell'uso del chiaroscuro nel noir si trova in Il bacio della morte (1947) di Henry Hathaway. In questo film, il contrasto tra la luce e l'oscurità viene utilizzato per accentuare il dramma e la tensione delle scene. Ad esempio, nella scena in cui il personaggio di Victor Mature viene catturato, il suo viso è illuminato in modo drammatico, con metà del suo volto in ombra, accentuando il senso di pericolo e incertezza.
Le ombre nel noir non sono semplicemente un elemento stilistico, ma contribuiscono attivamente alla narrazione e alla caratterizzazione dei personaggi.
In primo luogo, le ombre creano un'atmosfera di mistero e suspense. Ad esempio, un personaggio può essere presentato attraverso la sua ombra prima che sia mostrato in primo piano, anticipando la sua presenza e creando un senso di attesa nello spettatore. Oppure, un'ombra può suggerire la presenza di una minaccia incombente o di un pericolo nascosto, aumentando la tensione e l'aspettativa.
Nel film Il terzo uomo (1949): Nella celeberrima scena della rivelazione di Harry Lime (interpretato da Orson Welles), la sua presenza è anticipata dall'ombra proiettata su un muro.
Nel film Il suo tipo di donna (1951), l'uso delle veneziane socchiuse per proiettare un gioco di luce e ombra sul viso di Robert Mitchum serve a evidenziare il dualismo del suo personaggio, Dan Milner. Questa inquadratura simbolica rappresenta il conflitto interiore che Milner sta affrontando, riflettendo la sua lotta tra la luce (la legalità , la moralità ) e l'oscurità (la criminalità , la corruzione).
Nel film Il postino suona sempre due volte (1946), l'ombra delle sbarre della cella è un elemento visivo potente che viene utilizzato per sottolineare il conflitto interiore dei protagonisti e il destino che li attende. L'ombra delle sbarre proiettata sui personaggi non solo prefigura la loro possibile incarcerazione, ma simboleggia anche la loro prigionia morale ed emotiva. La loro relazione adulterina e il piano di omicidio li hanno intrappolati in una rete di colpa e rimorso, da cui non possono sfuggire. La presenza costante dell'ombra delle sbarre sulla loro figura serve a ricordare al pubblico la tensione continua e la minaccia sempre incombente della legge e della giustizia.
Nel film La scala a chiocciola (1946), le ombre delle sbarre della scala sono un elemento chiave che viene utilizzato per accentuare l'oppressione e la claustrofobia che prova la protagonista, Helen, mentre tenta di sfuggire all'appartamento dell'assassino. L'ombra della scala a chiocciola che si proietta su di lei crea un effetto visivo oppressivo, amplificando la sensazione di paura e ansia. Questo accresce la suspense per gli spettatori, poiché si avverte l'imminente pericolo che Helen sta affrontando. L'uso delle ombre in questa scena non solo accentua l'oppressione del contesto, ma funge anche da metafora visiva dell'intrappolamento psicologico di Helen: nonostante i suoi tentativi di fuggire, lei rimane prigioniera del suo terrore e della sua vulnerabilità .
Nel genere noir, anche la luce diretta viene utilizzata come strumento per creare contrasto, enfatizzare la tensione e guidare la narrazione.
Nel film Il grande sonno, la luce assume un ruolo narrativo significativo attraverso l'uso ricorrente di lampade art déco. Il personaggio di Humphrey Bogart, che riveste un ruolo positivo nella trama, accende frequentemente una lampada ogni volta che chiama la polizia. Questo gesto, che rappresenta simbolicamente il suo ritorno nel mondo dei personaggi positivi, contrasta con i momenti in cui spegne la luce per nascondersi nell'ombra, pronto a intraprendere azioni astute come attendere in agguato per sparare a qualcuno.
Parallelamente, Lauren Bacall interpreta un personaggio manipolatore e complesso, che si muove costantemente tra la menzogna e la verità . Un aspetto significativo del suo comportamento è evidenziato quando, nel bel mezzo di una conversazione, si ferma per accendere una lampada. Questo gesto, apparentemente semplice, assume un significato profondo: è come se Bacall stesse decidendo di cambiare la sua tattica, evidenziando l'importanza della luce nell'evidenziare le svolte cruciali nella trama del film.Nel film Angoscia (1944), la luce delle lampade a gas assume una valenza narrativa fondamentale, diventando uno strumento di tortura psicologica e manipolazione. Il personaggio interpretato da Charles Boyer fa oscillare l'intensità della luce per far dubitare Ingrid Bergman della sua stessa sanità mentale, creando un'atmosfera di disorientamento e confusione. La luce non è solo un elemento atmosferico, ma diventa uno strumento narrativo che simboleggia la manipolazione, il controllo e l'abuso psicologico. In questo senso, la luce non illumina, ma distorce la realtà , riflettendo il tumulto interno del personaggio di Bergman e la sua lotta per mantenere la propria sanità mentale.
In Vertigine (1958), durante la scena dell'interrogatorio, l'uso della luce puntata sul viso di Gene Tierney sottolinea l'intensità dell'interrogatorio e mette in evidenza la vulnerabilità e l'ansia del personaggio. L'illuminazione intensa aumenta il senso di oppressione e costringimento, contribuendo a creare un'atmosfera di tensione e suspense. Inoltre, la luce stessa può essere interpretata come una metafora della verità che viene a galla, rendendo il viso del personaggio un terreno di lettura delle sue emozioni nascoste.
In Il sospetto (1941), la scena della salita per le scale con il bicchiere di latte luminoso è uno dei momenti più iconici del film, reso memorabile dall'uso innovativo della luce da parte di Hitchcock. L'effetto della luce all'interno del bicchiere è stato ottenuto inserendo una lampadina nel bicchiere di latte, un trucco tecnico geniale che non solo attira l'attenzione dello spettatore sull'oggetto, ma lo trasforma anche in un elemento narrativo carico di tensione e sospetto. Il latte, di solito simbolo di conforto e nutrimento, viene qui presentato come uno strumento potenzialmente mortale, mentre la luce che emana dal bicchiere accentua il pericolo nascosto sotto una facciata di normalità . L'illuminazione del bicchiere guida l'occhio dello spettatore, sottolinea l'importanza del momento e alimenta il sospetto sulle vere intenzioni del personaggio di Cary Grant.
Il tempo e la struttura narrativa
Il cinema noir esprime il suo carattere distintivo anche attraverso l'uso innovativo del montaggio. In questa tipologia cinematografica, il montaggio si distingue per il suo ritmo frenetico e la sua struttura non lineare, che rispecchia l'instabilità emotiva dei personaggi e la complessità delle trame. Questo metodo di composizione veloce e serrato stimola la tensione, crea dinamicità e mantiene un ritmo coinvolgente e incessante.
Il modo in cui le riprese vengono montate può avere un impatto significativo sulla percezione dello spettatore dell'azione e sulla sua reazione emotiva alla trama. Questo processo di selezione, sequenziamento e accostamento delle riprese è in grado di creare ritmo, tensione, e può veicolare in maniera efficace le emozioni, i pensieri e le intenzioni dei personaggi.
Uno dei registi più famosi per l'uso magistrale del montaggio è Alfred Hitchcock. Nel film Marnie c’è una scena in cui il personaggio principale, interpretato da Tippi Hedren, cerca di muoversi in silenzio per non farsi scoprire dalla donna delle pulizie. In questa sequenza, le scarpe di Marnie cadono a terra con un rumore secco, provocando nello spettatore un picco di tensione - ci aspettiamo che il rumore svegli la donna. Tuttavia, subito dopo, Hitchcock svela che la donna delle pulizie è sorda e, pertanto, non avrebbe potuto sentire il rumore delle scarpe che cadono. Questo è un esempio di come il montaggio può creare aspettative nello spettatore e poi ribaltarle, creando così un senso di sorpresa e tensione. Il regista utilizza il montaggio per manipolare le aspettative del pubblico, costruendo tensione e suspense e, infine, generando sollievo e sorpresa quando la tensione viene rilasciata. In questo modo, Hitchcock dimostra il potere del montaggio nel creare emozioni e suspense, sfruttando la nostra tendenza a prevedere gli eventi in base alle informazioni che ci vengono presentate, e poi sorprendendoci con un colpo di scena inaspettato. Spesso Hitchcock ci ha abituati ad associare la tensione con un determinato suono o tema musicale, mentre è interessante notare quanto l'assenza di suoni, come in questo caso, sia capace di creare ugualmente la suspense.
La narrazione noir si contraddistingue per la sua "complicazione anacronistica" tramite la manipolazione della linearità temporale attraverso due tecniche: il flashback e l’ellisse.
Il flashback è uno strumento che permette di raccontare storie stratificate e spezzettate, dando vita a un affresco narrativo che lo spettatore è invitato a ricomporre, quasi come un detective.
Un esempio eccellente è Viale del tramonto (1950), in cui il protagonista rivive gli eventi del passato attraverso le lenti dei suoi ricordi. Questi flashback, spesso accompagnati dalla voce fuori campo, concedono al regista una posizione quasi onnisciente, rivelando la psicologia e i segreti dei personaggi pezzo dopo pezzo.
L’ellisse, invece, omettendo deliberatamente elementi cruciali, genera una serie di domande nello spettatore, alimentando ulteriormente la suspense e l'interesse per l'evolversi della trama.
Nel film Assassino per contratto del 1958, l'ellissi è sapientemente impiegata per condensare l'addestramento di Claude a killer professionista in brevi montaggi, omettendo così gran parte del suo percorso formativo. Inoltre, dettagli cruciali dei piani di omicidio di Claude vengono spesso omessi, con il film che salta direttamente al momento in cui i piani vengono eseguiti, creando suspense e mistero.
Per quanto riguarda la durata tipica dei film noir, è insolito trovarne uno che si estenda oltre i 120 minuti. Solitamente, nei primi trenta minuti, siamo introdotti ai personaggi e alla situazione che richiede un intervento. Un improvviso svolgimento serve a catalizzare il passaggio alla seconda parte del film. Questa sezione centrale, della durata di circa un'ora, testimonia la lotta del protagonista per raggiungere i suoi obiettivi e superare gli ostacoli incontrati lungo il percorso. Un altro sviluppo sorprendente guida poi verso l'atto finale. Quest'ultimo, della durata di trenta minuti, è dedicato alla risoluzione dei conflitti e al completamento della trama. Preceduto da un'ultima e stupefacente svolta, l'epilogo rappresenta il culmine dell'opera, concludendo l'esperienza noir.
La voce narrante fuori campo
Nel genere del cinema noir, l'uso della voce narrante fuori campo, o "voice over", gioca un ruolo significativo nella costruzione della trama e nell'intensificare l'engagement dello spettatore. Questa tecnica serve a costruire un ponte tra l'audience e il protagonista, immergendo lo spettatore nei flussi di coscienza del personaggio, rivelando i suoi pensieri intimi e le sue emozioni.
Un esempio emblematico di questo approccio si trova nel film La fiamma del peccato (1944) di Billy Wilder. Qui, la voce fuori campo di Fred MacMurray, nei panni di Walter Neff, ci conduce nel dedalo di raggiri e tradimenti del protagonista. Walter, esausto e sull'orlo del baratro, inizia a svelare la sua storia confessando l'omicidio con le memorabili parole: "Ho ucciso per denaro e per una donna, non ho preso il denaro e non ho preso la donna, bell'affare". Questa forma di narrazione instaura un'atmosfera di complicità tra il pubblico e il protagonista, incrementando l'impatto emotivo e l'assorbimento del film.
E così concludiamo il nostro "Viaggio nel Noir", un percorso di scoperta e approfondimento delle molteplici sfaccettature che rendono questo genere cinematografico unico.
Abbiamo esplorato l'importanza delle inquadrature e l'effetto evocativo dell'interazione tra luci e ombre. Abbiamo analizzato come tempo e struttura narrativa si intrecciano per costruire trame coinvolgenti e ricche di suspense.
Mi auguro che questo viaggio vi abbia permesso di riscoprire il cinema noir, o di apprezzarlo ancora più profondamente se già lo conoscevate e amavate.
La bellezza del cinema noir risiede proprio nella sua complessità , nella sua capacità di mescolare elementi visivi, narrativi e temporali per creare storie affascinanti e indelebili. Grazie per avermi accompagnato in questo viaggio. Ricordate, il noir è molto più di un genere cinematografico: è una lente attraverso cui vedere il mondo con occhi nuovi.
- venerdì, settembre 01, 2023
- 0 Comments