Cedric Gibbons: Il Genio Visivo Dietro il Fascino MGM
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C’è un nome che compare nei titoli di coda di oltre 1.500 film hollywoodiani: Cedric Gibbons.
Un genio silenzioso, sempre dietro le quinte, ma il cui impatto ha definito un’epoca. Non solo ha trasformato la scenografia in arte, ma ha anche portato lo stile Art Deco attraverso il grande schermo nelle case degli americani. Alla MGM, lo studio che incarnava il lusso e la raffinatezza, Gibbons ha creato un’estetica inconfondibile, diventata il marchio di fabbrica di un’intera industria.
Visionario, pragmatico e con una sensibilità innata per il design, Gibbons non si limitava a progettare set cinematografici: costruiva sogni.
Le sue creazioni, come quelle per film iconici quali Grand Hotel e Pranzo alle otto, non erano semplici ambientazioni, ma vere e proprie opere d’arte che ridefinivano l’immaginario collettivo. Il suo talento non si fermava ai set, ma si estendeva anche alla sua vita privata, come dimostra la celebre casa Art Deco progettata per lui e per la sua prima moglie, la star Dolores Del Río. Quella dimora, con il suo design rivoluzionario e il fascino irresistibile, divenne il simbolo del glamour hollywoodiano: teatro di feste leggendarie e ritrovo per le più grandi stelle del cinema.
E sapete cosa ha disegnato durante una riunione un po’ noiosa? Uno schizzo su un tovagliolo, destinato a diventare la statuetta più famosa al mondo: l’Oscar. Perché Gibbons non si limitava a seguire l’estetica del cinema, ma ne definiva i simboli. Ne porterà a casa ben 11 a fronte di 28 nomination.
Non sorprende che il regista Elia Kazan abbia detto: “A guidare la MGM non era Louis B. Mayer, ma l’uomo che plasmava ogni dettaglio visivo: Cedric Gibbons.”
Pronti a scoprire la sua storia straordinaria?
Luck of the Irish - La fortuna degli irlandesi
Cedric Gibbons nasce il 23 marzo 1890 a Brooklyn, New York. Ma per comprendere davvero le sue radici, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, a vent’anni prima, quando suo nonno Patrick Gibbons lascia l’Irlanda in cerca di una vita migliore. Durante la grande diaspora causata dalla carestia delle patate, Patrick emigra negli Stati Uniti insieme alla sua famiglia. Non è un contadino, come molti altri emigranti irlandesi, ma un costruttore esperto, e questo mestiere gli permette di inserirsi in un’America da ricostruire, in pieno boom edilizio dopo la Guerra Civile.Appena arrivato a New York, Patrick trova lavoro in uno dei progetti più ambiziosi dell’epoca: la costruzione della cattedrale di St. Patrick, un’imponente opera neogotica situata sulla Quinta Strada. I lavori, iniziati nel 1858, erano stati interrotti durante la Guerra Civile, ma riprendono nel 1869. Lavorare proprio in una cattedrale dedicata a San Patrizio, il santo protettore dell’Irlanda, sembra quasi un segno del destino. Per Patrick, che aveva lasciato tutto alle spalle per ricominciare in America, questa opportunità rappresentava una svolta.
In quel periodo, si usava spesso l’espressione “Luck of the Irish” (la fortuna dell’irlandese) per indicare una fortuna inattesa, quasi come quella del principiante nel gioco. Applicata spesso con ironia, questa frase sottintendeva che il successo degli irlandesi fosse più dovuto al caso che all’impegno o alla competenza. Ma per Patrick, questo incarico non era solo fortuna: era il risultato del suo mestiere di costruttore e della sua capacità di cogliere l’occasione in un paese in rapida trasformazione. La cattedrale diventa così il simbolo di un nuovo inizio per lui e per la sua famiglia.
Al suo fianco, spesso, c’è il giovane Austin, suo figlio, che lo segue nei cantieri e impara sul campo i segreti del mestiere.
In appena vent’anni, New York vive una straordinaria trasformazione. Nuovi ponti come il Williamsburg e il Manhattan Bridge collegano i distretti in espansione, mentre le prime linee di metropolitana iniziano a ridefinire la mobilità urbana. La città, sempre più dinamica, cresce rapidamente per accogliere le ondate di immigrati e la classe media in ascesa, che cerca case funzionali e moderne.
Austin, cresciuto tra i cantieri, sfrutta questa opportunità per avviare una propria attività. Si specializza nella costruzione di case modeste e nella ristrutturazione di abitazioni per una popolazione sempre più attenta alle comodità moderne, come elettricità, telefono e impianti idraulici interni. Questi progetti, benché semplici rispetto ai grattacieli che iniziano a cambiare lo skyline di Manhattan, rispondono alle esigenze pratiche di una città in continua evoluzione. Con il tempo, Austin si costruisce una solida reputazione come costruttore affidabile e capace, garantendo alla sua famiglia un futuro migliore.
Grazie al successo della sua attività, Austin riesce a trasferirsi con la moglie Veronica Fitzpatrick e i loro tre figli—Cedric, il primogenito, seguito da Veronica ed Eliot—in una casa a schiera su Hooper Street, a Brooklyn. Cedric cresce in questo contesto di laboriosità e trasformazione. Educato in casa dalla madre, passa molto tempo nei cantieri con il padre, dove osserva con curiosità come un progetto prenda forma. “Era magico vedere un edificio sorgere da un buco nel terreno,” ricorderà anni dopo. Queste esperienze non solo alimentano la sua immaginazione, ma gli insegnano anche disciplina e attenzione ai dettagli, caratteristiche che avrebbero definito tutta la sua carriera.
Rimboccarsi le maniche
Nel 1910, però, una tragedia segna profondamente la famiglia Gibbons. Veronica, la madre di Cedric, muore improvvisamente dopo una breve malattia. Il dolore è devastante e spinge Austin ad abbandonare la famiglia, lasciando Cedric, appena ventenne, a prendersi cura dei suoi fratelli più piccoli e dei nonni anziani.A vent’anni, Cedric Gibbons è costretto a chiudere il cassetto in cui custodiva il sogno di studiare architettura all’università, si dedica al lavoro per sostenere la sua famiglia. Seguendo le orme del padre e del nonno, si sposta da un cantiere all’altro, applicando ciò che ha imparato nei primi anni al fianco del padre. Con un fisico robusto e una determinazione incrollabile, si adatta rapidamente alle esigenze di un mestiere che richiede resistenza, precisione e ingegno. Questo periodo di sacrifici forgia il suo carattere e lo prepara ad affrontare le sfide future.
Nel 1912, però, si apre uno spiraglio inaspettato. Cedric riesce a iscriversi part-time alla Art Students League di New York, una scuola d’arte rinomata per la sua filosofia inclusiva e per l’atmosfera creativa. Fin dalla sua fondazione, la League ha offerto programmi flessibili e accessibili sia ai professionisti che agli amatori, senza corsi di laurea né voti, favorendo la sperimentazione artistica. Durante il suo periodo alla League, Cedric riesce a fondere la sua esperienza lavorativa con la formazione artistica, trasformando non solo il suo senso estetico, ma anche la comprensione di come un’impresa creativa possa essere organizzata e realizzata. Tra i suoi insegnanti c’è Hugo Ballin, affermato scenografo e regista, che tiene lezioni ispiranti, trasmettendo ai suoi studenti l’amore per il cinema e per il potere visivo della narrazione. Cedric rimane affascinato dalla passione e dal talento di Ballin, trovando in lui un mentore che avrebbe segnato la sua carriera.
Parallelamente, Cedric trova lavoro presso la J. Walter Thompson Advertising Agency, una delle prime e più innovative agenzie pubblicitarie al mondo. Qui entra in contatto con un approccio metodico e innovativo al design. Sotto la guida di Stanley Resor, impara a combinare creatività e logica, bilanciando ispirazione artistica e strategia. Ogni progetto pubblicitario si basa su un rigoroso processo di analisi, in cui domande fondamentali—chi, cosa, dove, quando e perché—guidano la pianificazione. Questo rigore metodico arricchisce ulteriormente la sua formazione, preparando Cedric a un approccio equilibrato tra tecnica e creatività, che sarebbe diventato il marchio distintivo del suo lavoro.
Nel 1918, un altro cambiamento cruciale lo attende. Ballin firma un contratto quinquennale come direttore artistico presso la Goldwyn Pictures e decide di portare Cedric con sé. Per il giovane Gibbons, questa è l’occasione della vita: l’ingresso a Hollywood, dove il suo talento e la sua visione avrebbero trovato il terreno ideale per germogliare. È l’inizio di un viaggio straordinario che lo porterà a ridefinire l’estetica del cinema per decenni a venire.
Le porte del cinema
Nei primi anni alla Goldwyn Pictures, Cedric Gibbons lavora accanto a Hugo Ballin, contribuendo alla progettazione di set per film storici e contemporanei. Qui introduce una delle sue prime innovazioni: l’uso di pareti solide e mobili autentici al posto dei tradizionali fondali dipinti. Questa scelta non è solo estetica, ma funzionale: gli ambienti diventano più credibili e agevolano le riprese con movimenti di macchina sempre più ambiziosi. I suoi set non sono semplici scenografie, ma veri spazi tridimensionali, pensati per immergere lo spettatore nella narrazione. Questa idea gli permette di distinguersi fin da subito come un designer che guarda oltre le convenzioni dell’epoca.
Nel 1924, con la fusione tra Metro Pictures, Goldwyn Pictures e Louis B. Mayer Productions, nasce la MGM. Gibbons viene mantenuto nello staff del nuovo studio, ma inizialmente come uno dei tanti scenografi del dipartimento artistico. È qui che si trova a confrontarsi con Romain de Tirtoff, meglio conosciuto come Erté. Celebre per il suo lavoro con il teatro e la moda parigina, Erté viene accolto con grande entusiasmo dalla MGM, e Louis B. Mayer desidera così tanto attrarre il celebre designer che per lui fa ricostruire fedelmente il suo atelier parigino direttamente nel cuore dello studio. Tuttavia, il suo approccio, fortemente legato all’artigianato e alla lentezza creativa, si scontra con la velocità e la precisione richieste dal sistema di produzione hollywoodiano.
Durante questo periodo, Gibbons inizia a distinguersi per la sua capacità di combinare creatività e praticità. La svolta arriva con la produzione di Ben Hur (1925), un progetto monumentale che rappresenta una sfida logistica e creativa per lo studio. Gibbons, collaborando con Arnold Gillespie, propone una soluzione innovativa per ricreare l’imponente Colosseo: la “glass miniature.” Parte della scenografia viene dipinta su un pannello di vetro, riducendo drasticamente i costi senza compromettere il realismo. Questo trucco salva alla MGM circa 100.000 dollari e consolida la posizione di Gibbons nello studio, mentre Erté, incapace di adattarsi, lascia la MGM poco dopo.
L’Esposizione che ha cambiato tutto
Il 1925 segna un punto di svolta per Cedric Gibbons. Durante la visita all’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali Moderne di Parigi, rimane profondamente colpito dallo stile Art Deco. Linee geometriche nette, superfici lucide e materiali moderni come vetro, metallo e marmo si combinano in una visione estetica che incarna eleganza e innovazione. Gibbons intuisce subito che questo linguaggio visivo, raffinato ma accessibile, è perfetto per il cinema, un mezzo che si nutre di sogni e modernità.Tornato a Hollywood, non perde tempo. Inizia a integrare questi principi nei suoi set, trasformandoli in autentici manifesti visivi dello stile moderno.
E luce fu
Proprio nello stesso periodo, l’industria cinematografica abbraccia un’altra innovazione: l’illuminazione a incandescenza. Questa nuova tecnologia rappresenta un netto miglioramento rispetto alle vecchie lampade ad arco, che producevano una luce fredda e bluastra, creavano ombre dure e rendevano i set scomodi per attori e troupe a causa del calore intenso. Le luci a incandescenza, invece, emettono una luce più calda e uniforme, che restituisce i colori con maggiore fedeltà e permette una gestione più raffinata delle ombre.
Gibbons comprende immediatamente le potenzialità di questa innovazione. Le luci a incandescenza consentono di ottenere un’illuminazione ad alta chiave (high-key lighting), caratterizzata da una luce principale intensa e ben bilanciata da fonti secondarie che riducono le ombre. Il risultato è un’atmosfera luminosa e uniforme, ideale per esaltare i dettagli geometrici e le superfici lucide tipiche dell’Art Deco.
In Le nostre sorelle di danza (Our dancing daughters, non chiedetemi perchè l’hanno tradotto così) del 1928, questa combinazione di scenografia e illuminazione crea un effetto visivo senza precedenti. Le pareti, i pavimenti e gli arredi sembrano brillare, donando al film un’aura di lusso e modernità. La precisione cromatica è tale che persino i capelli rossi di Joan Crawford, che sotto le vecchie luci sarebbero apparsi scuri, acquisiscono tutta la loro vivacità naturale, enfatizzando il fascino dell’attrice e la modernità del film.
Per Il bacio (1929), uno degli ultimi film muti di Greta Garbo, Gibbons sperimenta con la sua predilezione per l'effetto cornice, utilizzando archi e strutture architettoniche che diventano parte integrante della composizione fotografica. Il boudoir di Garbo, progettato in puro stile Art Deco, riflette l’eleganza moderna che caratterizza l’immagine della star, con linee pulite e arredi che enfatizzano la sua figura magnetica.
L’approccio pionieristico di Gibbons alla scenografia e all’illuminazione non passa inosservato. Altri studi adottano rapidamente le sue tecniche, e registi come Busby Berkeley iniziano a sperimentare con set che richiamano la raffinatezza dei film di Gibbons. Anche i musical di Fred Astaire e Ginger Rogers alla RKO traggono ispirazione dalla combinazione unica di stile visivo e precisione tecnica introdotta da Gibbons.
Questa sinergia tra estetica e tecnologia definisce il celebre “great white set,” diventando il marchio distintivo della MGM. Gibbons continua a collaborare attivamente con i direttori della fotografia, assicurandosi che design e illuminazione lavorino in perfetta armonia. Questo lavoro non solo eleva il livello tecnico del cinema hollywoodiano, ma contribuisce anche a consolidare l’immagine della MGM come lo studio del lusso e dello spettacolo, lasciando un’impronta indelebile nell’arte cinematografica e nel design del XX secolo.
L’ascesa alla MGM
Gli anni ’30 rappresentano per Cedric Gibbons un periodo di esplosione creativa, durante il quale la sua visione artistica contribuisce a definire il linguaggio visivo della MGM e a trasformare il cinema hollywoodiano in un’esperienza immersiva e sofisticata. Ogni film su cui lavora diventa un’occasione per sperimentare nuove soluzioni di design, sempre allineate ai progressi tecnologici e al contesto narrativo.
In Cortigiana, con Greta Garbo e Clark Gable, Gibbons introduce un’ambientazione che celebra le possibilità offerte dalla costruzione moderna in acciaio. L’attico della protagonista è circondato da pareti curve di vetro che offrono una vista spettacolare sullo skyline di Manhattan, un elemento reso possibile dalla tecnica innovativa del telaio in acciaio. Questa tecnologia, che sostituisce le mura portanti con una struttura scheletrica, consente una libertà progettuale senza precedenti, dando vita a interni ariosi e panoramici.
Gli spazi interni dell’appartamento si articolano attraverso gradini curvilinei e piattaforme che si alzano e si abbassano, enfatizzando l’estetica del “moderne” – una declinazione americana dell’Art Deco caratterizzata da linee fluide, materiali innovativi e un dinamismo che celebra la velocità e il progresso. Questo design non è solo esteticamente accattivante, ma riflette anche il tema del film: la modernità e l’emancipazione femminile, incarnate dalla figura di Garbo.
Con Grand Hotel del 1932, Gibbons raggiunge uno dei suoi massimi traguardi artistici. La lobby dell’hotel è un capolavoro di funzionalità e simbolismo. La struttura circolare, con il desk ovale al centro, consente una visione a 360 gradi che riflette il continuo movimento dei personaggi. La pavimentazione a scacchi in bianco e nero suggerisce quasi un gioco di pedine, mentre i lampadari rotondi e le porte girevoli in acciaio e vetro richiamano il tema della transitorietà.
La telecamera, posta al centro della lobby, può spostarsi fluidamente tra i vari personaggi, mantenendoli tutti a fuoco e rendendo visivamente palpabile la rete di connessioni tra le loro storie. Come osserva un personaggio del film: “People coming… going,” (la gente che viene e che va) e l’architettura diventa una metafora della natura effimera delle vite che si incrociano all’interno dell’hotel.
In Pranzo alle otto del 1933, il regista George Cukor si avvale del decoratore d’interni newyorkese Hobe Erwin e dello scenografo MGM Fredric Hope per creare un’estetica varia e stratificata che accompagni la complessità narrativa del film. sotto la supervisione di Cedric Gibbons, che orchestra l’intera visione estetica del progetto.
Rispetto a Grand Hotel, che concentra tutta l’azione nelle suite e negli spazi pubblici dell’hotel, Pranzo alle otto esplora le vite di cinque personaggi principali attraverso una varietà di ambientazioni: l’appartamento su Park Avenue di Lionel Barrymore e Billie Burke, la suite d’hotel di John Barrymore, gli uffici aziendali del cantiere navale di Lionel Barrymore e, soprattutto, il boudoir di Kitty Packard, interpretata da Jean Harlow.
Tra i numerosi set, il boudoir di Kitty Packard è quello che meglio sintetizza il carattere del personaggio e il tema del film. Hobe Erwin lo definì “un esempio perfetto di come la ricchezza possa essere combinata con il cattivo gusto.” Il design del boudoir è volutamente eccessivo, un’esplosione di undici tonalità di bianco – dal bianco latte al crema, dall’avorio al bianco gesso – che ricoprono ogni superficie. Le tende sono in chiffon bianco candido, le pareti in velluto color crema, i tappeti in chenille bianco latte e il letto è rivestito in taffetà avorio. Anche i mobili, come l’armadio laccato bianco, mostrano dettagli ornamentali in gesso opaco. Questo approccio all’arredamento non è casuale: è una dichiarazione visiva che riflette la personalità di Kitty, una donna bella ma priva di raffinatezza, sposata con un ricco imprenditore senza scrupoli. Anche le fleur-de-lis bianche che decorano il letto e il tavolo da toeletta, che tradizionalmente sono simbolo della monarchia borbonica francese, in questo contesto vengono reinterpretate in piume, sottolineando il contrasto tra il desiderio di eleganza aristocratica e la realtà kitsch e ostentata della nuova ricchezza di Kitty.
Gli anni Quaranta e Cinquanta
Negli anni ’40, il cinema hollywoodiano si evolve verso storie più intime e sfumate, e Cedric Gibbons adatta la sua visione alle nuove esigenze narrative. I suoi set non sono più soltanto spettacolari, ma diventano strumenti per rafforzare l’atmosfera e le emozioni della storia.
Un esempio magistrale è Angoscia (1944), un thriller psicologico diretto da George Cukor. La casa vittoriana in cui si svolge gran parte del film diventa quasi un personaggio a sé, con interni cupi e opprimenti che riflettono il tormento della protagonista. Quando Paula (Ingrid Bergman) e Gregory (Charles Boyer) si trasferiscono nella casa in cui la zia di Paula è stata assassinata anni prima, il pubblico viene accolto da stanze soffocanti: mobili coperti da teli, lampadari avvolti in reti e pareti tappezzate di ricordi sbiaditi. “Tutto qui odora di morte,” commenta Paula, e questa sensazione permea l’intero set.
Con il progredire della trama, la casa subisce una trasformazione, rivelando dettagli ricercati come divani in satin e un raro pianoforte in palissandro, trovato a un’asta in Inghilterra. Questi dettagli non sono solo estetici: contribuiscono a intensificare il senso di manipolazione e intrappolamento che caratterizza la storia. Questo lavoro vale a Gibbons e al suo team un Oscar per la scenografia, premiando la capacità di tradurre la tensione psicologica in elementi visivi.
Con il dopoguerra, l’atmosfera cambia. Il pubblico cerca ottimismo e spettacolo, e Gibbons si dedica a creare mondi che incarnano queste aspirazioni. Un americano a Parigi (1951), diretto da Vincente Minnelli, è uno degli esempi più memorabili. Sebbene il film sia girato interamente negli studi MGM in California, Gibbons riesce a evocare l’essenza romantica di Parigi attraverso set ispirati all’arte impressionista. Ogni ambientazione è una celebrazione della bellezza e del sogno: colori delicati, linee morbide e paesaggi che richiamano i dipinti di Renoir e Degas. La sequenza finale del balletto, un tour de force visivo di 16 minuti, porta lo spettatore in un viaggio attraverso scenografie mutevoli, dove arte e cinema si fondono. Anche se la Parigi di Gibbons è idealizzata e chiaramente artificiosa, questa scelta si sposa perfettamente con il tono fiabesco del film, facendo del set un’estensione del mondo emozionale dei personaggi.
Ma Gibbons ha lasciato il segno nel cinema non solo con i suoi set straordinari: nel 1928, durante una riunione alla MGM, abbozza su un tovagliolo il design che diventerà la celebre statuetta degli Oscar. Una storia affascinante che vi ho raccontato in dettaglio qui.
La realtà che supera la finzione
Pensate che la vita di Cedric Gibbons sia stata interamente dedicata al lavoro? Niente di più sbagliato.Lo scenografo della MGM ha vissuto una storia d’amore che sembra uscita da uno dei suoi film, al fianco di Dolores Del Río, la prima vera diva latinoamericana di Hollywood. Il loro incontro avviene durante le riprese di La sete dell’oro, il dramma diretto da Clarence Brown in cui Dolores era stata chiamata a sostituire Renée Adorée, gravemente malata. Cedric, colpito dalla sua bellezza e dalla sua presenza, non riesce a resistere al desiderio di osservarla. Quasi ogni giorno, rinuncia al pranzo nella sala degli executive per recarsi sul set. Si nasconde tra le ombre, affascinato dalla grazia e dall’intensità che Dolores porta davanti alla cinepresa.
Un giorno, Cedric si fa coraggio e confida a Clarence Brown il suo desiderio di conoscerla. Il regista, però, tenta di dissuaderlo con un sorriso ironico: “Non è il tuo tipo, Cedric. È fredda e piuttosto apatica.” Ma Cedric non si lascia scoraggiare. “Non con quegli occhi neri,” risponde, convinto che dietro quell’apparente distacco ci sia molto di più.
Tuttavia, il momento giusto per avvicinarsi non arriva. Dolores sta attraversando un periodo difficile: il doloroso divorzio dal marito Jaime Del Río e le pressioni manipolative del regista Edwin Carewe, che cerca di controllare ogni aspetto della sua carriera, la rendono riservata e distante. Per Cedric, l’occasione di avvicinarla sembra sfumare.
Due anni dopo, nel 1930, Cedric partecipa a una sontuosa festa organizzata da Fredric March. Tra gli oltre duecento ospiti c’è anche Dolores, che fa il suo ingresso avvolta in un abito bianco satinato. L’intera sala si ferma per ammirarla, ma nonostante l’atmosfera carica di fascino, Cedric non riesce a trovare un momento per parlarle. Questa volta, però, decide di non lasciarsi sfuggire l’occasione. Con l’aiuto di Marion Davies e William Randolph Hearst, ottiene un invito alla leggendaria tenuta di San Simeon, il Hearst Castle (di questo luogo incantato ve ne ho parlato approfonditamente qui).
Nella cornice idilliaca della tenuta, Cedric e Dolores finalmente si incontrano. Il loro primo dialogo è semplice ma efficace. Dopo pranzo, Cedric le chiede se le piacciono gli animali. Alla risposta affermativa di Dolores, la invita a visitare lo zoo privato di Hearst, uno dei più grandi del paese. Passeggiando tra le gabbie e scambiandosi sorrisi, il loro legame comincia a formarsi. Quella sera, a cena, i due siedono vicini e si immergono in una conversazione sempre più intima. Al ritorno in treno verso Los Angeles, Cedric trova finalmente il coraggio di invitarla a pranzo il giorno successivo.
La loro storia d’amore si sviluppa rapidamente: sei settimane dopo il loro primo incontro, Cedric chiede a Dolores di sposarlo, e lei accetta.
Il 31 luglio 1930, i due si uniscono in matrimonio nella storica missione di Santa Barbara, con una cerimonia intima e carica di significato. Tuttavia, il destino mette alla prova la loro felicità: durante la luna di miele, Dolores si ammala gravemente. Cedric, impossibilitato a starle accanto, le scrive una lettera piena di tenerezza e promesse:
“Sto apportando alcune modifiche al progetto originale. Voglio che sia un dono di nozze per te, l’ambientazione perfetta per la donna più bella del mondo.”
Dolores, ancora ignara di cosa Cedric stia progettando, non sa che presto nascerà un capolavoro: una casa che non sarà solo un luogo in cui vivere, ma una dichiarazione d’amore scolpita nell’arte e nell’architettura.
Rifugio d'amore
Cedric progetta una casa nel 1930 a Santa Monica Canyon, con l’aiuto dell’architetto Douglas Honnold. La dimora, un capolavoro Art Deco, combina linee geometriche, superfici lucide e dettagli innovativi che uniscono estetica e funzionalità.
La casa, che inizialmente si ispirava a sei cipressi sul terreno, diventa infine una dimora che richiama la bellezza sofisticata di Dolores. Cedric trae ispirazione da architetti come Richard Neutra e Rudolph Schindler per linee rettilinee e superfici lisce prive di ornamenti superflui.
Ad eccezione di due piccole finestre che illuminano la stanza da toeletta di Dolores al secondo piano, la parte anteriore della casa è completamente priva di finestre.
La porta d’ingresso ricorda l’ingresso che quasi ci si aspetterebbe di trovare in un caveau bancario. È realizzata in Monel, una combinazione di leghe di nichel e rame resistente alla corrosione, come se l’edificio fosse stato progettato e costruito per proteggere eternamente qualcosa di grande valore. La porta è collocata fuori centro in una serie di rientranze poco profonde, sette in totale, che riflettono un motivo scanalato del cancello. Una volta entrati, gli ospiti si trovano immediatamente di fronte a un’enorme finestra a piombo alta circa 2,5 metri, che offre uno scorcio del verde sul retro della casa.
L’intera casa è un saggio sulla composizione delle rientranze, quelle forme che tanto ossessionavano gli anni ’30 e che qui sono state portate a un notevole livello di sofisticazione. Solidi e vuoti geometrici sono evidenti ovunque; è una sorta di celebrazione dello stile moderne americano, uno stile appariscente e vistoso influenzato dall’Art Deco ma molto più elegante e meno decorativo.
La disposizione degli interni amplifica queste idee. In netto contrasto con il vuoto pulito e privo di ornamenti della facciata in stucco che attraversa la parte anteriore della casa, grandi finestre incorniciate in acciaio lungo il retro del primo piano permettono al verde lussureggiante degli alberi di pepe e allo spettacolo del cielo occidentale di inondare le stanze.
Un aspetto straordinariamente originale di questa casa è l’inedita disposizione degli spazi. Contrariamente alle convenzioni delle dimore dell’epoca, la principale sala d’intrattenimento non si trova al piano terra, ma è stata collocata al piano superiore, accanto alla camera da letto padronale. Questa scelta audace riflette la visione innovativa di Cedric Gibbons, che ha saputo trasformare ogni dettaglio in una dichiarazione di stile.
Gli ospiti, al loro arrivo, vengono accolti in una vasta sala d’ingresso al piano terra, dominata da una scala spettacolare, progettata per enfatizzare la teatralità di ogni momento. La balaustra in metallo lucido cattura immediatamente l’attenzione, guidando lo sguardo lungo una sequenza di piattaforme e gradini che sembrano fluttuare verso l’alto, conducendo al vero fulcro della casa: il soggiorno principale, situato al secondo piano.
Questo spazio, che funge anche da sala d’intrattenimento, è pensato per affascinare. Grandi finestre incorniciate in acciaio si aprono sul giardino, lasciando entrare una luce naturale che esalta l’eleganza degli interni. Con una superficie di circa 14 metri per 7, il soggiorno combina ampiezza e intimità grazie a un design studiato: mezze partizioni e divisori bassi in legno lucido creano nicchie e angoli privati, offrendo spazi raccolti all’interno di un ambiente arioso.
La funzionalità degli arredi è abilmente nascosta dietro un’estetica impeccabile. I radiatori, per esempio, sono celati sotto sottili piani paralleli in acciaio, mentre i camini sono coperti da reticoli metallici dal design minimalista
E i bagni? Modernissimi, con rubinetti del bagno sostituiti da dischi d’argento nel pavimento, attivabili con una pressione del piede.
Il resto del piano superiore è occupato dalla suite privata di Dolores, un rifugio di eleganza e intimità che riflette la sua sofisticata personalità. La stanza da toeletta, decorata in argento e nero, ospita scaffali di vetro pieni di flaconi di profumo. Una sedia argentata con cuscini bianchi è l’unico mobile mobile, mentre il letto, rivestito in satin bianco, è incassato nelle pareti pannellate, affiancato da un lungo tavolo da toeletta in vetro che sembra fluttuare su colonne cristalline.
Le pareti della suite, interamente ricoperte di specchi, amplificano la luce e conferiscono un senso di infinito, persino nei dettagli come le placche degli interruttori. Un elemento di pura ingegnosità è nascosto nella camera: una botola che, attraverso un passaggio segreto, collega la suite di Dolores alla camera di Cedric, situata al piano inferiore.
Il bagno principale di Dolores, un capolavoro di design, è rivestito in marmo nero e specchi che riflettono ogni angolo, trasformando lo spazio in un ambiente al contempo lussuoso e accogliente.
In estate, un dispositivo meccanico spruzza acqua fredda sul tetto, creando una pioggia artificiale per rinfrescare l’interno. Gli ingressi sono accentuati da cascate di rettangoli a ritroso o da scale rovesciate, appese al contrario, con i gradini illuminati da luci elettriche nascoste dietro pannelli di vetro traslucido.
La vegetazione era così rigogliosa e dominante che una volta un cronista, osservando una foto di Cedric e Dolores davanti a una finestra sul retro, con un ramo di un albero che sembrava sospeso sopra di loro, suggerì che la coppia potesse vivere in una casa sull’albero, per quanto ne sapevano gli altri. I giardini circondavano una piscina e un campo da tennis. I brunch della domenica pomeriggio vedevano spesso Robert Montgomery, John Gilbert, Gary Cooper, Jean Harlow esercitarsi con il rovescio e molte volte Greta Garbo si presentava senza preavviso durante la settimana per godere della privacy della loro piscina.
Anche dopo la separazione della coppia nel 1940, quando Dolores inizia una relazione con Orson Welles, la casa continua a essere un luogo iconico. Cedric mantiene la proprietà fino al 1946, quando la vende all’attore Van Johnson. Negli anni successivi, la dimora passa attraverso diverse mani e viene restaurata dal produttore cinematografico Joe Roth, che ne rispetta il design originale. Oggi è censita come monumento storico-culturale di Los Angeles e compare anche in film come Twilight, con Gene Hackmann, Paul Newman e Susan Sarandon. In questo film, nella piscina che fu di Dolores del Rio, Susan Sarandon fa il bagno nuda, omaggio e citazione del suo film Bird of Paradise.
L’eredità
Gli ultimi anni di Cedric Gibbons segnano il tramonto di un protagonista dell’età d’oro di Hollywood. Nel 1956, dopo oltre trent’anni alla guida del dipartimento scenografico della MGM, si ritira. Il cinema sta cambiando: l’opulenza che aveva definito il suo stile lascia spazio a un realismo più sobrio, e Gibbons comprende che il suo tempo al vertice dell’industria si è compiuto.
Durante la sua straordinaria carriera, Gibbons ha ricevuto ben 11 Oscar per la scenografia, con film iconici come Il ponte di San Luis Rey, La vedova allegra, Orgoglio e pregiudizio, Fiori nella polvere, Angoscia, Il cucciolo, Piccole donne, Un americano a Parigi, Il bruto e la bella, Giulio Cesare e Lassù qualcuno mi ama.
Dopo il fallimento del matrimonio con Dolores Del Río, Gibbons sposa nel 1944 Hazel Brooks, attrice vent’anni più giovane, celebre per i suoi ruoli nei film noir. Insieme, scelgono una vita lontana dai riflettori, in una casa più semplice e intima rispetto alla spettacolare dimora progettata per Dolores. Il loro matrimonio è armonioso, e Cedric, ormai lontano dal set, continua a coltivare il suo amore per l’arte e il design.
Negli ultimi anni, la sua salute si deteriora gradualmente. Cedric si spegne il 26 luglio 1960, nella sua casa di Los Angeles, a 67 anni, lasciando un’eredità indelebile. Per chi ha avuto il privilegio di lavorare con lui, Gibbons non era solo un genio della scenografia, ma l’incarnazione della Hollywood dove i sogni diventavano realtà. È sepolto al Calvary Cemetery, vicino alla città che aveva tanto contribuito a plasmare.
Come spesso accade a chi lavora dietro le quinte, la figura di Cedric Gibbons è stata in parte oscurata dai volti e dai nomi delle star che illuminavano i suoi set. Eppure, il suo talento e la sua visione hanno plasmato un’epoca, trasformando il cinema in un’arte visiva capace di stupire, emozionare e ispirare.
Nel mio piccolo, sono felice di aver dedicato questo articolo alla sua vita straordinaria, che merita di essere ricordata non solo per i successi raggiunti, ma anche per il percorso che lo ha portato a reinventare il suo sogno. Dalla gavetta nei cantieri di New York all'innovazione di scenografie iconiche, Cedric ha lasciato un’impronta indelebile nell’immaginario collettivo del cinema e nell’estetica di un’intera generazione.
Ripercorrere la sua storia è stato un viaggio affascinante, tra intuizioni geniali e l’instancabile ricerca del bello. E spero che, leggendo, abbiate trovato la stessa meraviglia che ho provato io nel raccontarla. Cedric Gibbons, con la sua creatività e la sua dedizione, ha dimostrato che anche chi lavora dietro le quinte può lasciare un segno indelebile.
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