Essere Mammy: la vera storia di Hattie McDaniel

venerdì, novembre 08, 2024

Ci sono ruoli che rimangono impressi nella storia del cinema per la loro forza e la loro autenticità. Ruoli che, pur essendo secondari, riescono a conquistare il cuore del pubblico. Uno di questi è il personaggio di Mammy in Via col vento, una figura che, grazie a Hattie McDaniel, si è trasformata in qualcosa di molto più profondo e significativo di una semplice governante. Hattie non è solo un’attrice: è una pioniera, una donna che ha saputo sfidare il razzismo e i pregiudizi del suo tempo per lasciare un’impronta indelebile nella storia di Hollywood.


Ma come si arriva a conquistare un ruolo così importante, soprattutto quando c’è di mezzo un consiglio che arriva direttamente dalla First Lady? Quando Eleanor Roosevelt, infatti, suggerisce al produttore di Via col vento di scegliere la cuoca della Casa Bianca per il ruolo di Mammy, sembra quasi scontato che sarà lei ad ottenerlo. E invece, a sorpresa, entra in scena Clark Gable: lui, già scelto per interpretare Rhett Butler, si ricorda di Hattie McDaniel, una donna che lo ha colpito sul set di due film, Sui mari della Cina e Saratoga. Grazie alla raccomandazione di Gable, il ruolo viene assegnato a Hattie. È un momento decisivo per lei, una sfida e una conquista. Quel personaggio secondario diventa nelle sue mani qualcosa di indimenticabile e iconico.

Se vi sembra straordinario, mettetevi comodi, perché la storia di Hattie McDaniel è molto più di questo. È il racconto di una donna che, partendo dai lavori più umili e affrontando mille difficoltà, ha saputo conquistare il suo posto nella storia. La sua carriera è un viaggio che attraversa momenti di gloria, critiche e sfide personali, fino a diventare la prima attrice afroamericana a vincere un Oscar. Seguitemi, perché è una storia che merita di essere raccontata.

Radici

Hattie McDaniel nasce il 10 giugno 1895 a Wichita, Kansas. È l’ultima di tredici figli, cresciuta in una famiglia che porta sulle spalle il peso della storia americana: entrambi i suoi genitori, Henry McDaniel e Susan Holbert, sono ex schiavi. Henry, con il coraggio di chi non si arrende, ha combattuto per la sua libertà durante la Guerra di Secessione nelle United States Colored Troops, il reggimento afroamericano dell’Unione che ha sfidato il Sud schiavista. Susan, invece, trova la sua espressione nella musica religiosa, ed è proprio attraverso di lei che Hattie entra per la prima volta nel mondo del gospel. Susan canta nella chiesa locale, e con il tempo, la piccola Hattie non solo impara le canzoni, ma comincia a intonarle con una voce calda e profonda che lascia tutti senza parole.

Quando Hattie ha cinque anni, la famiglia si trasferisce in Colorado, prima a Fort Collins e poi a Denver, in cerca di una vita migliore e di opportunità più sicure. Sono anni di lavoro e di sacrificio per i McDaniel, ma Hattie cresce circondata dalla forza e dal calore di una famiglia numerosa che non smette mai di lottare. L’ambiente è severo, ma anche profondamente ispirato dalla musica e dalla spiritualità: grazie alla madre e alla chiesa, la giovane Hattie scopre che con la voce può trasmettere emozioni potenti. Non passa molto tempo prima che entri a far parte del coro gospel locale, dove il suo talento viene subito riconosciuto. È lì che Hattie si sente libera e realizzata per la prima volta, conquistando l’attenzione del pubblico locale che resta colpito dalla sua espressività e dal potere della sua voce.

Negli anni ’20, Hattie non è solo una cantante di coro: è diventata una delle principali intrattenitrici nella comunità afroamericana. Con la sua voce profonda e il suo carisma naturale, si afferma alla radio, dove inizia a lavorare come cantante e conduttrice. Per una donna afroamericana, è un traguardo incredibile. La radio le permette di espandere il suo pubblico, e Hattie sfrutta ogni opportunità per affinare il suo talento. La sua vita sembra finalmente indirizzata verso una carriera nello spettacolo, e Hattie lavora instancabilmente, spinta dalla passione e dalla determinazione a lasciare un segno. Ma, come per molti americani, anche la sua famiglia si trova a fare i conti con l’impatto devastante della Grande Depressione del 1929, che spezza il sogno americano e mette in ginocchio le economie familiari.

Improvvisamente, i lavori scarseggiano e il palcoscenico sembra lontano. Hattie è costretta a mettere da parte la radio e il canto per occuparsi di lavori di fortuna. Diventa donna delle pulizie in un club di Milwaukee, dove ogni sera sistema tavoli e pulisce pavimenti, ma dentro di lei la passione per il mondo dello spettacolo non si spegne. Anzi, nonostante le difficoltà, Hattie sente che il suo momento deve ancora arrivare.

La città degli Angeli

È il 1931 e Hattie McDaniel decide di fare il grande salto: si trasferisce a Los Angeles. Le sue sorelle, Etta e Orlena, sono già lì, in cerca di una carriera nel mondo dello spettacolo, ma per Hattie non è una semplice avventura: è un’occasione per mettere alla prova il suo talento in un contesto molto più grande della radio locale. Hollywood, però, non è certo il posto più accogliente per una donna afroamericana, e ogni giorno si rende conto delle difficoltà. I grandi ruoli non sono per lei, ma Hattie è tenace e ha imparato a non aspettarsi trattamenti di favore. È pronta a iniziare dal basso, a fare piccoli passi pur di raggiungere il grande schermo.

Finalmente, nel 1932, arriva una piccola occasione: Hattie appare in L’Occidente d’oro. Non è un ruolo accreditato, e forse pochi nel pubblico noteranno quella figura di sfondo, ma per Hattie è l’inizio. Da quel momento, non smette di lavorare. Passano gli anni, e mentre molti attori aspirano a essere ricordati come star, Hattie si costruisce una reputazione diversa, ma altrettanto speciale: è l’attrice che trasforma ogni apparizione in un momento unico. I ruoli sono sempre gli stessi: la domestica, la cameriera, la cuoca, ma Hattie li rende indimenticabili. È una delle poche che riesce a fare risaltare i personaggi marginali, e chi la osserva inizia a notare qualcosa di unico in lei.

Nel 1935, arriva un’opportunità diversa, quasi inaspettata: è chiamata a recitare accanto a Shirley Temple in Il piccolo colonnello. Questa volta il suo nome appare nei titoli, un traguardo che sembrava impossibile solo pochi anni prima. Recitare accanto a una star come Shirley è una sfida che Hattie affronta con umiltà, ma anche con il desiderio di farsi notare. E ci riesce. La sua performance viene riconosciuta, e la sua figura comincia a diventare familiare per il pubblico.


Ma Hattie non si ferma. Lo stesso anno recita con Katharine Hepburn in Primo amore, e ogni nuovo ruolo, per quanto minore, sembra portarla un passo più vicina a quel sogno che custodisce fin da quando cantava gospel da bambina. Hollywood non le spalanca le porte, ma Hattie è abituata a trovarsi nel cuore delle scene secondarie e a brillare comunque. È così che inizia a costruire la sua carriera: pezzo dopo pezzo, comparsa dopo comparsa, fino a diventare una delle presenze più inconfondibili del cinema dell’epoca.

La svolta

È il 1938, e a Hollywood si diffonde una notizia che fa tremare tutti: David O. Selznick, uno dei produttori più potenti dell’industria, sta per portare sul grande schermo Via col vento, il romanzo che ha fatto sognare milioni di lettori. Gli studi di produzione sono in fermento per il cast, e in particolare, per un ruolo cruciale: quello di Mammy, la governante di Rossella O’Hara, un personaggio che, pur non essendo il centro della trama, rappresenta una figura di saggezza e stabilità.

Un nome importante si fa avanti per la parte. Eleanor Roosevelt, First Lady degli Stati Uniti, suggerisce Elizabeth McDuffie, la cuoca della Casa Bianca, come interprete perfetta di Mammy. Avere il sostegno della First Lady è un endorsement difficile da battere. Ma ecco che interviene Clark Gable: già scelto per interpretare Rhett Butler, Gable si ricorda di Hattie McDaniel, l’attrice che lo ha colpito in due film precedenti, Sui mari della Cina e Saratoga.

Il produttore Selznick è titubante, ma Gable insiste, e alla fine, Hattie ottiene la parte. Per lei è una conquista enorme e, allo stesso tempo, un rischio. Sa bene che alcuni nella comunità afroamericana vedono il personaggio di Mammy come uno stereotipo, l’ennesima rappresentazione di una donna nera relegata al ruolo di serva. Ma Hattie ha una visione tutta sua: sente che, proprio attraverso quel personaggio, può dare una profondità nuova alla figura di Mammy, trasformandola da semplice domestica a madre simbolica, pilastro della famiglia, custode di valori e saggezza.


Hattie si immerge nel ruolo, portando sul set tutta la sua forza e la sua determinazione. Quando Via col vento esce nelle sale nel 1939, il pubblico resta affascinato dalla sua interpretazione. Mammy, con il suo senso pratico, la sua devozione e il suo coraggio, diventa uno dei personaggi più amati del film. Grazie a Hattie, non è solo una serva, ma una presenza forte e quasi eroica, che riesce a imporsi anche accanto a figure di spicco come Rossella e Rhett.

Hollywood, quel mondo che sembrava così distante e inarrivabile per Hattie, ora inizia a riconoscere il suo talento. Il nome di Mammy è sulla bocca di tutti, e Hattie McDaniel, da attrice secondaria, è diventata un simbolo, un esempio di come anche un ruolo minore possa lasciare un’impronta indelebile nella storia del cinema. Se non aveete visto il mio articolo su Via col vento lo trovate qui.

Il trionfo

Il 29 febbraio 1940, Hattie McDaniel arriva a una serata che nessuno avrebbe mai immaginato per lei solo qualche anno prima. È candidata all’Oscar per il ruolo di Mammy in Via col vento, la prima attrice afroamericana nella storia ad aver ricevuto una nomination. Hollywood è in trepidazione per una serata che si preannuncia speciale: il film ha ottenuto numerose candidature, e il pubblico ha seguito ogni momento di quella produzione con una devozione quasi maniacale.

Ma la strada verso questo traguardo non è priva di ostacoli. Per via delle leggi razziali in vigore, Hattie è relegata a un tavolo distante dal resto del cast e dalla sala principale. Anche nel trionfo, la segregazione la trattiene ai margini. David O. Selznick, il produttore, ha fatto tutto il possibile per garantirle un posto alla cerimonia, ma le rigide norme sociali la costringono comunque a partecipare in modo diverso. Eppure, Hattie è lì: nonostante le barriere, è riuscita a far valere il suo talento.

Quando arriva il momento di annunciare il vincitore nella categoria di Migliore attrice non protagonista, l’attrice Fay Bainter apre la busta e proclama il nome di Hattie McDaniel. La sala esplode in un applauso, e lei sale sul palco in lacrime, commossa e incredula. È un momento storico, uno di quelli che rimarranno impressi per sempre nella memoria di chi è presente. Hattie si rivolge all’Academy e al pubblico con parole che trasmettono gratitudine e consapevolezza: “Academy of Motion Picture Arts and Sciences, colleghi dell’industria cinematografica e ospiti d’onore: questo è uno dei momenti più felici della mia vita, e voglio ringraziare tutti coloro i quali abbiano avuto un ruolo nella mia vittoria per la loro gentilezza. Mi ha fatto sentire molto, molto umile. Lo terrò per sempre come un faro per tutto ciò che potrò essere in grado di fare in futuro.

Il suo discorso è semplice, toccante, pieno di speranza per un futuro in cui il talento possa essere riconosciuto senza distinzione di razza o classe. Ma quel trionfo ha anche un retrogusto amaro: sa che, per molti, la sua vittoria non basterà a cambiare le rigide regole di Hollywood. E sa che, nonostante l’Oscar, i ruoli da protagonista rimarranno lontani. Tuttavia, in quel momento, Hattie ha conquistato un posto nella storia, e nessuno potrà portarglielo via.

La sua statuetta è più di un semplice trofeo: è un simbolo di lotta, di coraggio e di resilienza. Hattie sa che, attraverso Mammy, ha aperto una porta, e anche se resta ancora molto da fare, quella vittoria rappresenta una speranza per chi verrà dopo di lei.


Il prezzo della vittoria

La vittoria dell’Oscar porta a Hattie McDaniel una fama che supera i confini di Hollywood, ma non tutti vedono in quel premio un trionfo. Alcuni membri della comunità afroamericana, infatti, criticano la sua scelta di continuare a interpretare ruoli di domestica. Per loro, personaggi come Mammy e altri simili non fanno che perpetuare uno stereotipo doloroso e limitante, che ritrae le persone di colore esclusivamente come figure di servizio. Rispetto a una collega come Butterfly McQueen, che rifiuta di interpretare ruoli di domestica, Hattie prende una posizione diversa. Per lei, ogni ruolo, anche il più umile, rappresenta una possibilità di guadagno, di lavoro e di visibilità in un’industria che concede pochissime opportunità agli attori afroamericani.

Alle critiche, Hattie risponde con una franchezza che disarma: «Perché dovrei sentirmi in colpa se guadagno 700 dollari a settimana interpretando una cameriera? Se non lo avessi fatto, guadagnerei 7 dollari alla settimana lavorando come una vera donna di servizio». È una posizione pratica, quasi pragmatica: per lei, questi ruoli sono un’opportunità concreta di costruire una carriera in un mondo che le lascia poche alternative. Hattie non teme di essere giudicata e si dedica a ogni ruolo con tutta la sua passione, sapendo che, anche con poche battute, può creare un personaggio memorabile.

Ma le critiche non si fermano qui. Alcuni la contestano anche per aver scelto un manager bianco, William Meiklejohn, invece di affidarsi a qualcuno della sua comunità. Hattie, però, crede che il suo valore risieda nei risultati e non nelle apparenze. Mentre molti vedono le sue scelte come una mancanza di impegno verso le battaglie per i diritti civili, Hattie sa di essere in lotta a modo suo: ogni volta che si mette davanti a una macchina da presa, dimostra che una donna afroamericana può essere una presenza fissa, seppur nei ruoli minori, nell’industria cinematografica.

Gli anni ’40 la vedono impegnata in una serie di ruoli in film importanti, dove continua a rappresentare figure di servizio, ma sempre con una profondità e un’umanità che le fanno guadagnare il rispetto di pubblico e critica. Nel 1944, recita in Da quando te ne andasti, un film di propaganda bellica in cui interpreta Fidelia, una domestica al servizio di una famiglia che affronta le difficoltà della guerra. Anche stavolta, il suo personaggio non è solo una comparsa: Hattie riesce a infondere in Fidelia una forza silenziosa e una dignità che superano la semplicità del copione.

Nelle case degli americani

Alla fine degli anni ’40, Hattie ritorna al suo primo amore, la radio. Nonostante il successo nel cinema, la radio le offre una nuova opportunità di visibilità e le permette di esplorare lati diversi del suo talento. Entra nel cast di Beulah, uno show popolare in cui interpreta una domestica vivace e intraprendente. Per Hattie, Beulah è un’occasione di rivisitare il personaggio della domestica con una nota di comicità e leggerezza, mostrandone il lato più umano e sdrammatizzando gli aspetti negativi dello stereotipo. Questa volta è lei a essere protagonista, e il pubblico la apprezza, affezionandosi sempre più alla sua interpretazione.

Nel 1950, Beulah viene adattato per la televisione, e inizialmente è Ethel Waters a interpretare il ruolo principale. Ma quando Waters lascia lo show, i produttori chiamano Hattie, che diventa così la prima afroamericana a ottenere un ruolo da protagonista in una serie televisiva. La sua presenza sul piccolo schermo rappresenta un evento straordinario, un altro primato per lei e per tutta la comunità afroamericana, che raramente ha avuto una rappresentazione stabile e positiva nei media.

Ma proprio mentre la serie riscuote successo, Hattie riceve una diagnosi devastante: un tumore al seno. La malattia la costringe a lasciare Beulah e a interrompere la sua attività televisiva. È un colpo durissimo, ma Hattie non smette di combattere. Anche se la salute comincia a venir meno, il suo spirito rimane intatto, così come la sua eredità di attrice e pioniera.

L'eredità di Hattie

Il 26 ottobre 1952, Hattie McDaniel si spegne all’età di 57 anni, lasciando dietro di sé un’eredità straordinaria. Hollywood, che a lungo l’ha relegata a ruoli marginali, si ferma a ricordarla come una delle attrici più talentuose e influenti della sua generazione. La sua carriera è un percorso di conquiste e sacrifici, fatto di ruoli spesso limitanti che lei ha saputo trasformare in momenti indimenticabili. Attraverso ogni interpretazione, Hattie ha combattuto contro le barriere razziali e ha aperto la strada per le future generazioni di attori afroamericani.

Hollywood rende omaggio a Hattie con due stelle sulla Walk of Fame: una per i suoi successi cinematografici e una per i contributi alla radio. Questo doppio riconoscimento non è solo un tributo alla sua versatilità, ma anche alla sua capacità di affrontare un’industria che le ha imposto confini rigidi e stereotipi. Con il suo lavoro, Hattie ha dimostrato che anche i ruoli secondari possono diventare potenti veicoli di rappresentazione e di riscatto. Il suo Oscar, ancora oggi, è un simbolo di resilienza, un trofeo che testimonia il valore di chi ha saputo sfidare i limiti imposti dalla società.

Oltre ai premi, l’impatto di Hattie McDaniel vive nella memoria di chi ha lavorato con lei e di chi ha seguito la sua carriera, ma soprattutto nella generazione di artisti che ha ispirato. Hattie ha mostrato che il talento e la dedizione possono trovare spazio anche nei contesti più difficili, e che un’attrice afroamericana può conquistare l’affetto del pubblico senza tradire la propria autenticità. Anche se molti ruoli le sono stati negati e i riflettori sono spesso stati puntati altrove, Hattie ha saputo brillare ugualmente, rendendo indelebile il suo passaggio.

La sua vita è la storia di una donna che ha lottato per affermarsi, nonostante le difficoltà, e che ha saputo fare di ogni personaggio, anche quello più umile, un ritratto umano e commovente. Oggi, Hattie McDaniel rimane un’ispirazione per chi, dentro e fuori Hollywood, continua a credere che il talento possa aprire qualsiasi porta, anche quelle più pesanti e chiuse a doppia mandata.

 

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