Che favola di costumi: La signora e i suoi mariti
venerdì, novembre 29, 2024IMPORTANTE: Potete ascoltare questo articolo in formato audio. Su iPhone: aprite Safari, andate alla pagina dell’articolo, toccate AA nella barra indirizzi e scegliete “Ascolta pagina”. Su Android: aprite l’app Google o Google Chrome, aprite l’articolo, toccate i 3 puntini in alto a destra e poi “Ascolta la pagina”.
Ma ci pensate? Un film con Shirley MacLaine che si sposa (e rimane vedova) quattro volte, affiancata da icone come Paul Newman, Gene Kelly, Robert Mitchum, Dick Van Dyke e Dean Martin, il tutto condito da abiti che sembrano usciti da una sfilata di haute couture? What a Way to Go! (in italiano La signora e i suoi mariti) è tutto questo e molto di più. Una commedia nera che prende il glamour hollywoodiano degli anni ’60 e lo eleva a livelli surreali, con costumi che non sono solo belli: sono il cuore della narrazione.
E qui entra in scena Edith Head, la leggendaria costumista di Hollywood. Non ha bisogno di presentazioni: è la stilista per eccellenza, con un record di candidature agli Oscar e un numero di statuette che basterebbe a riempire una mensola (otto, per essere precisi). Per questo film ha creato un guardaroba da sogno per la protagonista Shirley MacLaine, fatto di 72 look indimenticabili, ciascuno pensato per raccontare i bizzarri matrimoni e le disavventure della protagonista. E non stiamo parlando solo di vestiti: parrucche, gioielli (quelli veri di Harry Winston, per intenderci), un budget che sfiora il mezzo milione di dollari solo per i costumi. È uno spettacolo dentro lo spettacolo.
In questo viaggio vi porterò a scoprire non solo gli abiti mozzafiato di Louisa May Foster, ma anche le storie dietro ogni look, da quelli più stravaganti agli outfit simbolici del lutto. E se pensate che questo sia un film “solo per appassionati di moda”, vi sbagliate: qui c’è Hollywood al massimo della sua potenza, con una produzione che sfida ogni limite e un cast che brilla quanto i diamanti di scena.
Pronti a scoprire cosa rende What a Way to Go! una festa per gli occhi e una lezione di stile senza tempo? Seguitemi: c’è molto da raccontare e ancora di più da ammirare. In fondo all'articolo trovate il film da vedere quando preferite.
Un Film in continua evoluzione
What a Way to Go! inizia come un’idea del pubblicista Arthur Jacobs, deciso a lanciarsi nella produzione cinematografica. Il progetto, intitolato inizialmente I Love Louisa, nasce come un adattamento di un racconto di Gwen Davis su una donna con sei mariti. Una trama perfetta per il grande schermo, e Jacobs riesce persino a convincere Marilyn Monroe a partecipare. Sì, avete letto bene: Marilyn Monroe avrebbe dovuto essere Louisa May Foster. Il piano era chiaro: due film per la Fox, Something’s Got to Give e I Love Louisa, con un cachet di un milione di dollari. Marilyn approva J. Lee Thompson come regista e si inizia a parlare di Gene Kelly come uno dei mariti. Poi, la tragedia: nell’agosto del 1962, Marilyn muore, lasciando il progetto in sospeso.
Ma Hollywood non si ferma. Jacobs rielabora l’idea, proponendo il ruolo principale a Elizabeth Taylor e altri grandi nomi per i mariti. Alla fine, però, è Shirley MacLaine a prendere il posto di Marilyn, firmando ufficialmente nel luglio del 1963. Con lei arrivano Paul Newman, Robert Mitchum, Gene Kelly, Dean Martin e Dick Van Dyke, completando un cast che definire stellare è riduttivo.
La produzione è un’impresa monumentale: 73 set costruiti interamente negli studi della Fox, un budget di 5 milioni di dollari e riprese che durano solo 45 giorni, un tempo record per un film di questa portata.
Shirley, ti presento Edith
Il loro primo incontro risale a quasi un decennio prima, sul set di La congiura degli innocenti (1955), il film di Alfred Hitchcock che rappresenta uno dei primi ruoli importanti per Shirley (ve ne ho parlato qui). Tuttavia, è durante la lavorazione di Artisti e modelle (1955), una commedia surreale con Jerry Lewis e Dean Martin, che le due iniziano a sviluppare un legame professionale più stretto. In una delle scene principali, Shirley doveva indossare un costume da pipistrello, un ruolo che inizialmente non la entusiasma. La giovane attrice, con un approccio già molto professionale, si prepara al meglio anche per questo compito insolito, cercando di capire tutto ciò che poteva sulla creatura che doveva rappresentare.
Nella sua autobiografia, Edith racconta di aver chiesto ai ricercatori informazioni dettagliate sui pipistrelli, scoprendo che sono mammiferi volanti che utilizzano l’ecolocazione per cacciare. Una volta ricevute queste informazioni, Shirley si lascia coinvolgere: inizia a muoversi per la stanza battendo le "ali" e cercando di interpretare il comportamento dell’animale. Nonostante le risate che questa scena ha suscitato, Edith nota subito quanto Shirley fosse dedita a prepararsi per il ruolo, trasformando persino un costume bizzarro in un momento di performance autentica.
Negli anni successivi, la collaborazione tra le due si rafforza. In ogni progetto, Shirley dimostra una totale fiducia nelle scelte della stilista, che a sua volta lavora per esaltare al meglio le qualità dell’attrice. Edith racconta che Shirley amava mostrare le sue gambe, sapendo di avere un punto di forza, e lei non perde occasione per valorizzare questa caratteristica con gonne corte e silhouette che ne esaltano la figura.
Il culmine della loro collaborazione arriva con La signora e i suoi mariti (1964), un film che permette a Edith di dare libero sfogo alla sua creatività. Lo Studio della Fox riesce ad ottenere in prestito dalla Paramount Edith Head su insistenza di Shirley MacLaine. Con un budget da sogno di oltre 500.000 dollari solo per i costumi e 3,5 milioni di dollari in gioielli forniti da Harry Winston, la stilista crea per Shirley un guardaroba straordinario composto da 72 look diversi, ognuno pensato per rappresentare i vari mariti e le trasformazioni del personaggio. Per completare ogni outfit, l’acconciatore Sidney Guilaroff realizza parrucche abbinate, contribuendo a rendere Shirley camaleontica e perfettamente in sintonia con l'estetica surreale e sopra le righe del film.
Edith, già occupata con la mole immensa di lavoro per Shirley, delega i costumi degli altri membri del cast a Moss Mabry. Questo le permette di concentrarsi sulla protagonista e creare un guardaroba che non è solo moda, ma un elemento essenziale della narrazione. Ogni costume, dal più semplice al più sfarzoso, non è solo un vestito, ma un mezzo per raccontare le emozioni e le trasformazioni di Louisa May Foster.
Viaggio nel guardaroba di Louisa
Marito numero 1: Edgar Hopper
(Dick Van Dyke)
Il guardaroba di Louisa racconta alla perfezione questa parabola. Nei primi momenti del matrimonio, il suo stile riflette la semplicità e la praticità della loro vita rurale: camicette a quadretti e pantaloni denim arrotolati, capi che parlano di una donna che apprezza l’essenziale. Edith Head usa questi dettagli per sottolineare il carattere genuino di Louisa, in contrasto con l’opulenza che arriverà più avanti.
Con la crescita dell’impero commerciale di Edgar, anche l’abbigliamento di Louisa subisce un’evoluzione. Le camicette si fanno più ricercate, con ricami eleganti, mentre le gonne a vita alta valorizzano la sua figura in modo più femminile. È un cambiamento graduale, mai eccessivo, che riflette l’adattamento di Louisa a una vita più agiata senza perdere il suo stile personale.
Infine, quando Edgar raggiunge il culmine del suo successo, anche lo stile di Louisa diventa più sofisticato e romantico. Tra i look più iconici di questa fase spicca un abito a pois con dettagli in tulle e un grande fiocco in vita, simbolo di un’eleganza raffinata ma ancora radicata nella sua essenza semplice. Edith Head riesce a bilanciare perfettamente questi due mondi, trasformando ogni outfit in un capitolo visivo che racconta l’ascesa e il declino del primo matrimonio di Louisa.
Marito numero 2: Larry Flint
(Paul Newman)
Con Larry Flint, Louisa si immerge completamente in un universo bohémien. A Parigi, incontra questo artista d’avanguardia povero e geniale, che utilizza macchinari innovativi per trasformare i suoni in pennellate, creando quadri unici. Louisa sposa Larry e condivide con lui una vita all’insegna della creatività e della spensieratezza, fino a quando il successo non li travolge. Le macchine di Larry diventano sempre più grandi e complesse, portandolo a una morte tragica e surreale quando una di esse si rivolta contro di lui. Louisa, ormai sempre più ricca e sola, è nuovamente costretta a ricominciare.
Il guardaroba di Louisa racconta il suo passaggio dal mondo sobrio e raffinato che porta con sé a Parigi a quello eccentrico e caotico dell’arte beatnik. All’inizio, indossa un elegante abito dritto color oliva, accompagnato da una collana di perle, un look sobrio che riflette il suo distacco iniziale dallo stile di vita esuberante di Larry. È uno stile che comunica un’eleganza classica, quasi in contrasto con l’universo che sta per abbracciare.
Il primo segnale della trasformazione arriva con un mini dress rosso abbinato a collant dello stesso colore, un look audace che rappresenta l’incipiente teatralità nella vita di Louisa. Questo costume monocromatico è una dichiarazione visiva di come lei inizi a farsi influenzare dal mondo colorato e eccentrico del marito.
La piena immersione nel caos creativo di Larry si manifesta attraverso due abiti straordinari, che sembrano usciti direttamente da una galleria d’arte. Con una silhouette a colonna in blu notte, questo abito è un tributo all’arte astratta. La fascia diagonale in fucsia e ocra, che avvolge il busto come una pennellata su una tela, dona un tocco dinamico e contemporaneo. La profonda scollatura e lo spacco laterale aggiungono un’aura di sensualità, completata da un’acconciatura strutturata che amplifica il carattere scultoreo del look.
Infine segue l'abito giallo dipinto di blu e rosa, con guanti lunghi. Questo vestito è una vera e propria opera d’arte sartoriale. La base in giallo brillante è arricchita da pennellate astratte di blu e rosa, trasformando Louisa in una tela vivente. La scollatura asimmetrica e i guanti dipinti nello stesso stile completano l’insieme, aggiungendo un tocco di teatralità che celebra lo spirito artistico e libero di Larry.
Durante il matrimonio con Larry, Louisa non è solo una moglie: diventa la musa del marito, incarnando nei suoi abiti il mondo visionario e stravagante che lui rappresenta. I costumi di Edith Head elevano la figura di Louisa a quella di un’opera d’arte vivente, creando una sinergia perfetta tra moda e narrazione.
Marito numero 3: Rod Anderson Jr.
(Robert Mitchum)
Con Rod Anderson Jr., un magnate miliardario, Louisa entra in un mondo di opulenza sfrenata. Rod, inizialmente freddo e calcolatore, rivela un lato più umano durante un volo privato, conquistando Louisa e convincendola a sposarlo. Dopo un periodo vissuto tra lussi e sfarzi, Louisa, temendo per la salute del marito, lo persuade a ritirarsi in una fattoria simile a quella della sua infanzia. Tuttavia, il desiderio di una vita semplice si trasforma in tragedia quando Rod, ubriaco, viene ucciso accidentalmente da un toro. Louisa si ritrova di nuovo vedova, con una ricchezza che ormai è diventata una condanna.
I costumi di questa fase incarnano l’eccesso e il glamour, mostrando un guardaroba che passa dal lusso estremo alla semplicità rustica, rispecchiando la parabola di Rod e l’impatto che ha sulla vita di Louisa.
Louisa inizia questo capitolo con un abito lungo aderente in un acceso arancione, reso memorabile dalle piume che avvolgono spalle e braccia. Il cappello oversize coordinato sottolinea il tema dell’opulenza, trasformando Louisa in un’icona di teatralità.
In contrasto con il dramma dell’arancione, un elegante abito bianco aderente è abbinato a una sciarpa di pelliccia candida drappeggiata sulle spalle. Questo look bilancia lusso ed eleganza senza eccedere, rivelando un lato più raffinato del guardaroba di Louisa.
Poi segue un vibrante abito giallo, arricchito da dettagli di piume che avvolgono le spalle, cattura l’attenzione con la sua teatralità. Le scarpe coordinate dimostrano l’attenzione meticolosa per i dettagli che contraddistingue questa fase.
Arriva lusso allo stato puro: un abito dorato lineare è impreziosito da un bordo di pelliccia di visone. Questo look unisce semplicità e materiali pregiati, incarnando un’eleganza regale e senza tempo.
Poi un omaggio al rococò, con una gonna ampia e glitter questo abito antracite richiama l’estetica di Maria Antonietta pur mantenendo un tocco moderno nel corpetto e nella vertiginosa apertura sul davanti.
Segue un abito futuristico in plastica rossa lucida, con una silhouette innovativa e una gonna a bolla, rappresenta il picco della creatività sartoriale di Edith Head. Il tutto accompagnato da un’acconciatura orientaleggiante con bastoncini fra i capelli.
Il diamond’s dress: Questo abito, interamente ricoperto di strass e completato da gioielli autentici di Harry Winston, è il culmine dell’opulenza. Con uno spacco laterale e una parrucca decorata con fermagli di diamanti, Louisa si trasforma in un simbolo vivente del lusso estremo.
Anche l’abbigliamento in camera da letto riflette tutta l’opulenza dello stile di vita di Louise. La mia preferita è la vestaglia verde chiaro, un capolavoro di leggerezza e teatralità. Realizzata senza maniche, è composta da un abito aderente in tessuto verde menta che valorizza la silhouette, abbinato a un soprabito voluminoso. Quest’ultimo è decorato con decine di crisantemi creati con tessuto arricciato, che aggiungono ricchezza e movimento.
L’abito che segue è un vestito lungo in satin verde smeraldo, con drappeggi eleganti e nastri fluttuanti, riflette il fascino hollywoodiano più classico, incarnando movimento e grazia.
Poi arriva l’abito sicuramente più audace per l’epoca, un capo quasi minimalista ma estremamente sensuale, che lascia scoperta la schiena decorata solo da un filo di perle.
Louisa poi sfoggia un completo contemporaneo composto da un tubino rosso abbinato a un cappotto strutturato, un cappello a campana e guanti coordinati. Un look che unisce sicurezza ed eleganza metropolitana.
Alla fine del matrimonio, Louisa indossa un outfit rustico e pratico che simboleggia il ritorno alla semplicità: una salopette in denim, una camicia a quadri rossi e un cappello di paglia. Questo costume segna il contrasto con la vita opulenta vissuta con Rod, anticipando una nuova fase della sua esistenza.
Con Rod, Louisa si immerge in un mondo di eccessi, e i suoi costumi diventano una narrazione visiva di questa opulenza. Edith Head utilizza piume, diamanti e pellicce per raccontare la trasformazione di Louisa in un’icona del lusso, lasciando infine spazio a un ritorno alla semplicità che chiude il cerchio con ironia e leggerezza.
Marito numero 4: Pinky Benson
(Gene Kelly)
Il matrimonio con Pinky Benson, interpretato da Gene Kelly, rappresenta il punto di massimo eccentrismo nella vita di Louisa. Pinky è un artista di varietà che vive modestamente su una casa galleggiante, ma la sua carriera decolla quando Louisa lo convince a esibirsi senza il trucco da clown. Diventa una star di Hollywood e trasforma completamente il loro mondo, tingendolo di rosa zucchero filato e opulenza teatrale. La sua vanità e il suo successo crescente lo allontanano da Louisa, fino al tragico epilogo in cui viene travolto dai suoi fan.
I costumi di questa fase, creati da Edith Head, riflettono il caos colorato e surreale che avvolge la vita con Pinky. Ogni look racconta una storia di leggerezza, ironia e stravaganza, con il rosa a dominare sia nella palette cromatica che nell’estetica esagerata.
Louisa incarna la leggerezza e l’ironia di questa fase con un bikini di pizzo bianco, composto da un top a maniche lunghe e una balza delicata sulla vita alta. Il look è completato da occhiali da sole oversize, decorati con dettagli gioiello, che aggiungono un tocco eccentrico. Questo costume riflette l’atmosfera giocosa e surreale del mondo di Pinky, con un perfetto equilibrio tra glamour e spensieratezza.
C’è un altro iconico costume da bagno: il bikini nero, arricchito da fiocchi decorativi, è abbinato a tacchi neri, trasformando un capo casual in un look sofisticato e teatrale.
Il momento più emblematico di questa fase arriva con un abito lungo rosa, decorato da drappeggi raffinati che scendono in modo elegante e teatrale. Sopra, Louisa indossa un cappotto sontuoso in pelliccia di cincillà rosa, mentre una parrucca dello stesso colore completa il look. Questo costume rappresenta il culmine dello stile imposto dalla personalità di Pinky, trasformando Louisa in una vera e propria musa del suo universo rosa e teatrale.
Il matrimonio con Pinky Benson, con i suoi costumi volutamente sopra le righe, è un manifesto visivo dello stile di vita eccessivo e irriverente che invade ogni aspetto della vita di Louisa. Edith Head utilizza il guardaroba per raccontare l’assorbimento totale della personalità di Pinky, trasformando Louisa in un riflesso ironico e teatrale del mondo che la circonda.
La celebre facciata, l’atrio e il parcheggio laterale del Grauman’s Chinese Theatre, che giocano un ruolo centrale nella scena, non sono stati girati sul posto, ma ricreati interamente su un set della Fox. Il motivo? I proprietari del vero Chinese Theatre si sono rifiutati di chiudere l’affollatissima attrazione turistica, temendo di perdere giorni preziosi di incassi. Così, mentre il pubblico continuava a calpestare la Walk of Fame, Shirley MacLaine e Gene Kelly si muovevano tra scenografie costruite con precisione millimetrica per evocare la magia del luogo reale. Un perfetto esempio di come il cinema, anche quando sembra "on location," sappia piegare la realtà ai suoi ritmi! Di questo luogo, uno dei punti di riferimento per ogni amante del cinema classico americano, vi ho parlato qui e qui.
In lutto, ma sempre con stile
Una menzione speciale agli abiti da lutto di Shirley MacLaine. I suoi completi evolvono progressivamente, con un raffinato crescendo nella copertura del viso: inizialmente libero, poi avvolto da un velo sottile, seguito da un copricapo che lo copre parzialmente, fino a una veletta integrata a un grande cappello voluminoso e, infine, un drammatico velo scuro che cela quasi interamente il volto. Questi look, dominati da copricapi teatrali e imponenti, giocano con trasparenze stratificate e drappeggi fluidi che enfatizzano un'aura di solennità crescente. Le spille scintillanti, posizionate sul petto, interrompono il total black con tocchi di luce discreta, fondendo teatralità e compostezza in un’estetica sofisticata e drammatica.
Un successo che divide
La signora e i suoi mariti non passa inosservato al suo debutto nel 1964. Con un cast stellare, una trama bizzarra e costumi incredibili, il film si attira l’attenzione del pubblico e della critica, ma con reazioni tutt’altro che unanimi. James Powers, nella sua recensione per The Hollywood Reporter, lo definisce "uno spettacolo che dovrebbe essere una delle attrazioni più popolari dell'anno." L’elogio per i costumi di Edith Head non manca: “Miss Head ha disegnato una serie di abiti sbalorditivamente sontuosi e alcuni fatti per divertire, metri di pelliccia, ettari di chiffon. Camminano su quella linea sottile tra burlesque e realtà; le donne nel pubblico sanno che non sono qualcosa che qualcuno potrebbe indossare, ma oh! quanto sarebbe bello se potessero!"
Non tutti, però, condividono l’entusiasmo. Variety definisce il film "gaudioso, montato costosamente", mettendo in discussione il gusto generale della produzione. Edith Head stessa riflette sulle critiche in Edith Head's Hollywood: “Un recensore ha definito i costumi di cattivo gusto e pacchiani, ma quando ho provato a discuterne, non ha mai risposto alle mie chiamate. Non aveva completamente torto: a volte il personaggio di Shirley doveva essere di cattivo gusto e pacchiano. Shirley era molto soddisfatta dei costumi, e anche io."
Nonostante le critiche, l’Academy riconosce il lavoro di Edith Head e Moss Mabry, nominando il film all’Oscar per il miglior design di costumi a colori. Tuttavia, l’eclettismo e la teatralità di La signora e i suoi mariti non bastano a superare la magnificenza dei costumi d'epoca di Cecil Beaton in My Fair Lady (1964), che conquista la statuetta (se volete approfondire questo film lo trovate qui). Quell'anno, Edith ottiene anche una nomination per il film A House Is Not a Home (1964), ma perde nuovamente, questa volta contro i costumi di Dorothy Jenkins per La notte dell’iguana.
Lasciare il segno
Nonostante la mancata vittoria agli Oscar, La signora e i suoi mariti si afferma come un cult del cinema degli anni ’60, soprattutto per gli amanti del design dei costumi. Gli abiti di Edith Head rimangono un capolavoro visivo, una celebrazione della sua capacità di mescolare ironia, stravaganza e bellezza. Anche se il film può non essere stato universalmente apprezzato, è impossibile ignorare il suo impatto visivo e la sua capacità di raccontare una storia anche attraverso le stoffe.
Con il passare del tempo, La signora e i suoi mariti diventa una testimonianza dell’estro di Edith Head e della sua capacità di interpretare la personalità dei personaggi attraverso costumi che oscillano tra il surreale e il reale. Come James Powers scrive nella sua recensione: “Oh, quanto sarebbe bello se potessimo indossarli.” E forse è proprio questo il segreto del film: regalarci un sogno, un’esagerazione, un mondo in cui ogni abito è una storia.
COME PROMESSO ECCOVI IL FILM:
ULTIMO MA NON PER IMPORTANZA: Se volete rimanere aggiornati sui miei articoli potete iscrivervi alla Newsletter che ho creato, è sufficiente cliccare su questo link https://blogfrivolopergenteseria.substack.com basta inserire la vostra mail e cliccare Subscribe, riceverete via mail la conferma dell'avvenuta iscrizione e ogni settimana quando uscirà un nuovo articolo sul blog verrete avvisati. Vi ringrazio per sostenermi sempre!
1 commenti
Ciao bella, ovunque io ti trovi un saluto e un ringraziamento te lo mando, te lo meriti proprio anche per la pazienza. Con affetto, Daniela
RispondiElimina