L'angolo dei film: Mr. Smith va a Washington

venerdì, novembre 01, 2024

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Ci sono film che ci prendono per mano e ci portano dentro le pieghe della storia, rendendoci partecipi di qualcosa di più grande. Ecco, i film di Frank Capra fanno proprio questo: sono storie che parlano di valori semplici, ma universali, come il coraggio e l'onestà, di quelle qualità che Capra vedeva come la spina dorsale della società. Mr. Smith va a Washington è un esempio perfetto. Un film che ho amato per la sua capacità di mettere al centro l’essere umano, con tutte le sue imperfezioni, di raccontare la politica, non solo come gioco di potere, ma anche come occasione di riscatto e di lotta per ciò che conta davvero. E non posso fare a meno di pensare a quanto tutto questo sia attuale, ora che ci avviciniamo a una delle elezioni presidenziali americane più combattute della storia.
Con Jefferson Smith, Capra ci regala un personaggio che è il “ragazzo della porta accanto” ma con un cuore grande come un continente, un personaggio che ci fa credere che i piccoli gesti possano fare una differenza enorme, anche quando il mondo sembra ostile. Mr. Smith va a Washington è un film che non smette di parlarci, e oggi è come se ci sussurrasse di non mollare, di non arrenderci davanti ai compromessi e alle piccole meschinità.
In questo articolo vi porto dietro le quinte di un capolavoro, per scoprire le sfide, le sorprese, e persino le tensioni politiche che hanno accompagnato la sua realizzazione. Dall’origine della storia alle scelte del casting, alle difficoltà nel ricreare fedelmente la scenografia.
Pronti a scoprire cosa ha reso Mr. Smith va a Washington un capolavoro che continua a ispirarci, a farci riflettere e, forse, a sognare un po’ di più?
Vi anticipo una chicca: in fondo all'articolo troverete il film da vedere direttamente!
Il titolo originale è Mr. Smith goes to Washington ed è un film del 1939 diretto dal regista Frank Capra con protagonisti James Stewart, Jean Arthur e Claude Rains.
 
Trailer originale:
La trama in breve: Jefferson Smith è un giovane di buon cuore e di grandi ideali che viene eletto come Senatore a Washington. Lo scopo del partito è tutt'altro che nobile: usarlo come fantoccio per far approvare un losco progetto di speculazione edilizia. Quando Smith propone la costruzione di un campo per boyscout intralciando i piani del partito per la costruzione di una diga, ricorrerranno ad ogni mezzo per infangare la sua reputazione. Con l'aiuto della sua fedele segretaria Smith penserà ad una soluzione tanto audace quanto rischiosa.
Alcune scene del film

Foto promozionali
Nel 1939, l’industria cinematografica americana è dominata da otto grandi studi, divisi tra le Major (le "Big Five") — Metro-Goldwyn-Mayer, Warner Bros., Paramount, RKO e 20th Century Fox — e le Minor (le "Little Three") — Universal, United Artists e Columbia. Le Major detengono il monopolio, possiedono catene di cinema e dominano sia la produzione che la distribuzione. La Columbia, guidata dal Tycoon Harry Cohn, però ha un asso nella manica: il regista Frank Capra che in appena 4 anni ha conquistato 3 Oscar grazie ai film Accadde una notte, È arrivata la felicità (trovate il mio articolo qui) e L’eterna illusione (di cui vi ho parlato qui), elevando lo Studio a uno status che, altrimenti, non avrebbe mai raggiunto​.
In un periodo segnato da tensioni politiche, con la guerra che incombe sull’Europa, Capra attraversa anche una fase personale difficile: la perdita del figlio, morto per complicazioni dopo un’operazione alle tonsille. In questo momento di dolore, Capra vorrebbe esplorare nuovi orizzonti con un film basato sulla vita di Frédéric Chopin, una produzione intima e artistica che aveva pensato di girare in Technicolor. Cohn, tuttavia, vede le cose diversamente: vuole “un altro Mr. Deeds” (il protagonista di È arrivata la felicità) , una storia che celebri il coraggio dell’uomo comune e che possa risuonare con il pubblico in un momento così delicato.
Se a livello anatomico Frank Capra ha un braccio destro, sul lavoro ne ha addirittura tre: Joe Sistrom, suo assistente alla produzione; Harold Winston, direttore dei dialoghi; e Chester Sticht, un altro fidato assistente. È proprio Sistrom a proporre a Capra una storia che potrebbe fare al caso suo: “The Gentleman from Montana”, un racconto inedito di Lewis R. Foster, che narra le vicende di un uomo comune che si trova a lottare contro la corruzione nel Senato degli Stati Uniti. L’idea conquista subito Capra, sempre attratto dai personaggi idealisti e dai temi che celebrano i valori democratici.
Acquisire i diritti però si rivela una strada in salita. Nel 1937, il produttore William Perlberg aveva inizialmente acquistato i diritti per la Columbia Pictures, ma il progetto si blocca dopo una lettera di Joseph Breen, responsabile della censura cinematografica. Breen trova il racconto “carico di dinamite” per l’industria e teme che possa essere percepito, soprattutto all’estero, come una critica al sistema democratico americano. È dunque il regista Rouben Mamoulian ad aggiudicarsi i diritti per 1.500 dollari, mostrando interesse a farne un adattamento cinematografico. Quando Capra scopre il progetto, desidera occuparsene personalmente, e a quel punto Harry Cohn, capo della Columbia, prova a riacquistare i diritti da Mamoulian, offrendogli ben 75.000 dollari. Mamoulian rifiuta, ma accetta di cedere i diritti per lo stesso importo iniziale, a condizione di poter dirigere Golden Boy, un progetto della Columbia che Mamoulian desidera fortemente. Con questo accordo, Mamoulian si dedica a Golden Boy (il film che lancerà la carriera di William Holden), mentre Capra ottiene finalmente la storia che trasformerà in Mr. Smith va a Washington​.
Frank Capra, non potendosi affidare allo sceneggiatore di È arrivata la felicità, Robert Riskin, che nel frattempo ha lasciato la Columbia per diventare assistente esecutivo del produttore Samuel Goldwyn, decide di rivolgersi a Sidney Buchman, con cui aveva già lavorato in Strettamente confidenziale (1934) e Orizzonte perduto (1937). Sebbene Buchman fosse noto per le sue idee progressiste e per la sua affiliazione al Partito Comunista, Capra si fida del suo talento narrativo e della sua capacità di dare forma alla visione ideale di un “uomo comune” che lotta contro un sistema corrotto​.
Il progetto di Mr. Smith va a Washington prende una forma più concreta quando Frank Capra decide di fare un viaggio esplorativo a Washington D.C. con Sidney Buchman e l’operatore Joe Walker per cogliere al meglio l’atmosfera politica e i dettagli della città. Capra vuole che il film racconti il punto di vista ingenuo e idealista del senatore Jefferson Smith e, per prepararsi, si mette a esplorare Washington proprio come farebbe un senatore alle prime armi. Durante il loro tour in pullman, il gruppo visita i simboli più significativi della città: il Campidoglio, la Corte Suprema, la Casa Bianca, il Monumento a Lincoln e quello a Washington. Capra è particolarmente colpito quando assiste a una scena al Lincoln Memorial: un bambino che legge al nonno il Discorso di Gettysburg, recitando parole che riecheggiano con forza e commozione. È un momento potente, e Capra decide che deve assolutamente inserirlo nel film. "Dobbiamo fare il film," dice, "non fosse che per ascoltare un ragazzo leggere Lincoln a suo nonno"​.

Per ottenere una rappresentazione autentica del Senato, Capra cerca il miglior consulente possibile e si affida ai consigli del suo amico Bill Henry, cronista politico del Los Angeles Times, che gli suggerisce di rivolgersi a James Preston. Preston, sovrintendente della sala stampa del Senato con quarant’anni di esperienza, è una figura rispettata che ha formato intere generazioni di cronisti e senatori. Capra e il suo team, con Preston al fianco, iniziano a documentare ogni dettaglio della sala del Senato, inclusi pomelli, candelabri e decorazioni, con l’obiettivo di ricreare un set accurato per il film. Preston diventa il consulente principale di Capra, e in seguito lo aiuta anche nella scelta dei 96 attori che avrebbero interpretato i senatori, dando così vita a una scenografia che restituisce al pubblico la sensazione autentica di trovarsi in quel “pozzo” profondo che è la camera del Senato americano.

Quando la Columbia decide di portare sullo schermo Mr. Smith va a Washington, Harry Cohn, capo dello studio, ha subito un’idea precisa per il protagonista: vuole Gary Cooper, sperando di riproporre la formula vincente di È arrivata la felicità con un idealista che faccia breccia nel cuore del pubblico. Ma quando scopre che Cooper non è disponibile – Samuel Goldwyn rifiuta infatti di cederlo in prestito – Capra ha una proposta diversa e ben precisa: James Stewart, l’attore che ha già diretto in L’eterna illusione. Stewart è ancora sotto contratto con la MGM, ma questa volta Capra e Cohn riescono a ottenerlo in prestito, garantendosi un protagonista che incarna esattamente il tipo di idealismo su cui Capra punta.
Capra ha ben chiaro che Stewart è perfetto per il ruolo. Per lui, Cooper è senza dubbio un uomo onesto, ma “non saprebbe riconoscere un idealista neanche se lo colpisse in pieno volto”. Stewart, invece, con la sua moralità innata, riesce a trasmettere quella giusta intensità e innocenza. “Jimmy aveva principi solidi e genuini che emergevano sullo schermo.” A renderlo ancora più adatto al ruolo”. 
Per il ruolo di Clarissa Saunders, Capra ha un solo nome in mente: Jean Arthur. La sua voce unica e roca, che si mescola in modo particolare tra un sussurro e un leggero gracidio, aveva già colpito Capra quando la scelse per È arrivata la felicità (Mr. Deeds Goes to Town). All'epoca, Arthur aveva già all’attivo ben 75 film, eppure non aveva ancora trovato il vero successo. È proprio Capra, riconoscendo la sua raffinatezza e la versatilità che esprime nei ruoli comici, a darle l’opportunità di emergere (negli anni seguenti ci regalerà 3 interpretazioni meravigliose in Un colpo di fortuna, Il diavolo si converte e Molta brigata vita beata).
Nella sua interpretazione in Mr. Smith và a Washington, l’attrice dà vita alla stanchezza e alla disillusione del personaggio con ogni sfumatura della sua voce, che sembra portare su di sé tutto il peso del cinismo di Washington. Eppure, con il progredire del film, Saunders cambia lentamente insieme alla sua voce, che si fa più calda e vivace man mano che il personaggio si lascia trasportare dall’entusiasmo e dall’idealismo di Smith.
Il culmine della sua interpretazione arriva nella famosa scena del bar, dove Saunders, ubriaca, lascia trapelare i suoi veri sentimenti. Per girare questa scena complessa, Capra si affida al consiglio di Howard Hawks, che suggerisce di lasciar girare un’unica ripresa senza tagli per dare ad Arthur la possibilità di esprimere appieno la gamma di emozioni di Saunders. Hawks stesso definì la sequenza “una delle migliori scene d’amore che abbia mai visto in un film”, mentre Capra, incantato dalla profondità della sua interpretazione, dirà: “Sfido qualsiasi altra attrice a interpretare quella scena come ha fatto Jean Arthur”.
La scelta del cast per Mr. Smith va a Washington si rivela una sfida unica per Capra: in questo film non ci sono ruoli “minori”, ogni parte, anche di pochi secondi, richiede attori di talento e presenza scenica. Con ben 186 ruoli parlati e circa 100 comparse, ogni personaggio doveva contribuire a rendere credibile l’ambiente del Senato americano. Per ciascun ruolo Capra convoca almeno cinque attori, senza fare veri e propri provini, ma affidandosi a colloqui durante i quali si lascia guidare dal suo istinto.


Per il personaggio di Joseph Paine, che rappresenta l’eroe corrotto e ambivalente, Capra non ha un nome in mente, ma uno dei suoi assistenti gli dice che l’attore che per lui è la rappresentazione perfetta di un senatore: Claude Rains. Inglese di origine, Rains si è distinto per interpretazioni aristocratiche in film d’avventura come La leggenda di Robin Hood, Il principe e il povero e Avorio nero. In effetti, è proprio con Mr. Smith va a Washington (che gli varrà la nomination come Migliore attore non protagonista) che Rains, insieme a Perdutamente tua, Casablanca, Il fantasma dell’opera e Notorius, consacrerà definitivamente la sua carriera ad Hollywood​.
Quanto al potente e corrotto Jim Taylor, Capra sa già chi scegliere: Edward Arnold. L’attore ha interpretato per lui il cinico banchiere Anthony P. Kirby in L’eterna illusione e più avanti sarà il facoltoso editore corrotto in Arriva John Doe. Arnold porta sullo schermo un Taylor manipolatore, carismatico e senza scrupoli, incarnando perfettamente il volto della corruzione contro cui si batte l’idealista Jefferson Smith.

Per il ruolo del reporter cinico Diz Moore, Capra ha un’idea precisa: vuole un attore mancino, perché ritiene che “quelli con la mano del diavolo sono caratteristi per istinto”. La scelta ricade su Thomas Mitchell, un volto ben noto a Hollywood per i suoi ruoli iconici e per la sua grande capacità di trasformarsi. Mitchell era un vero talento camaleontico e nello stesso anno di Mr. Smith va a Washington apparirà anche in altri due capolavori, Via col vento e Ombre rosse.
Nel film, Diz Moore è un personaggio disincantato ma dotato di una profonda umanità, che, nonostante il cinismo iniziale, si lascia affascinare dall’idealismo di Jefferson Smith. Mitchell porta sullo schermo questa complessità, conferendo a Diz Moore una dimensione autentica e simpatica, in perfetto contrasto con la corruzione dominante attorno a lui. La sua interpretazione è uno degli elementi che arricchiscono il contesto giornalistico del film, permettendo di riflettere sulla libertà di stampa e sull’integrità professionale in un ambiente fortemente politicizzato.

L’ultimo ruolo di cui voglio parlarvi ha una storia molto speciale e l’ho tenuta apposta per ultima.
Inizialmente, Capra contatta Edward Ellis per il ruolo del Presidente del Senato, ma si trova davanti a una risposta inattesa e sconcertante. Dopo aver ricevuto la sceneggiatura, l’agente di Ellis rifiuta categoricamente la proposta, giudicando la parte “insultante” per un attore del suo calibro e sostenendo che “nemmeno un attore di terzo ordine accetterebbe una parte con così poche parole da pronunciare.” Di fronte a questa reazione, Capra decide di cambiare direzione: non cerca più un “nome” importante, ma piuttosto un volto che incarni la forza e il carattere dell’America rurale. È così che arriva a Harry Carey, uno dei pionieri del cinema western e noto per la sua espressione intensa e autentica, che aveva colpito Capra già vent’anni prima, quando era un giovane alla ricerca di una carriera a Hollywood.
Carey accetta la parte e la interpreta con tale dignità che viene nominato all’Oscar come Miglior Attore Non Protagonista. Il suo Presidente del Senato, quasi sempre silenzioso, riesce a incarnare la compostezza e l’integrità della carica, diventando una presenza simbolica di supporto morale per Jefferson Smith. Durante le riprese della scena del giuramento, però, Carey fatica a trasmettere la solennità necessaria, tanto che Capra decide di prendersi una pausa. Rientrando sul set, Capra lo incoraggia a lasciare da parte il “cowboy” e a immaginarsi invece come un vero Presidente del Senato, un uomo rispettato a un passo dalla Casa Bianca. “Procedi, Frank, il Presidente è pronto,” risponde Carey, ritrovando la sicurezza che la scena richiede. La sua interpretazione diventa così uno dei momenti più apprezzati del film, tanto dai critici quanto dal pubblico.
Quando trattiene le risate durante la scena dell'ostruzionismo è fantastico
 
Infine troviamo altri dieci attori che riappariranno in La vita è meravigliosa (del 1946 di cui vi ho parlato qui), sempre diretti da Capra, oltre a James Stewart, Thomas Mitchell e Beulah Bondi, che qui interpreta la madre di Jefferson: H.B. Warner (il senatore leader della maggioranza e il farmacista Mr. Gower), Charles Lane (il reporter Nosey e l’esattore di Potter), Dick Elliott (Carl Cook e il vicino di casa brontolone), Sam Ash (il senatore Lancaster e uno dei banchieri), Stanley Andrews (il senatore Hodges e l’uomo che dà un pugno a George Bailey), Monya Andre (una cittadina di Bedford Falls), Larry Simms (il figlio del Governatore Hopper, il figlio di George) e Ray Walker (il venditore di valigie).

Le riprese di Mr. Smith va a Washington, iniziate il 3 aprile e concluse il 7 luglio 1939, sono state ricche di episodi unici che dimostrano quanto impegno abbiano messo il cast e la troupe in questo progetto ambizioso. Un aneddoto curioso riguarda la scena del filibuster, una delle più iconiche del film, dove Jefferson Smith, ormai esausto, deve apparire con la voce completamente rotta dopo ore e ore di discorsi ininterrotti. James Stewart, pur mettendocela tutta, si rende conto che ottenere quel tono afono e disperato non è così semplice. Decide così di rivolgersi a un medico, chiedendo: “Dottore, come faccio a farmi venire una raucedine vera, anziché cercare di simularla?”. La risposta è un’idea decisamente poco convenzionale: una spennellata di mercurio diclorato sulla gola per irritare leggermente le corde vocali senza causare danni. Stewart era titubante all’idea di usare questo “trucco” e temeva la reazione di Capra, pensando che potesse criticare la soluzione artificiosa. Al contrario, Capra ne fu entusiasta: “Nessuna recitazione avrebbe potuto simulare in modo così autentico la lotta di Jimmy nel far uscire quelle parole da una gola infiammata!”.
Mr. Smith Goes To Washington (1939) - requested by anon – @whumpty-dumpty  on Tumblr
Un altro episodio curioso riguarda i giovani Boy Scouts, che dovevano inizialmente comparire nel film come gruppo di supporto a Jefferson Smith. Tuttavia, l’organizzazione non volle essere associata alla storia, e Capra dovette modificare le scene in cui comparivano i Boy Scouts sostituendo ogni riferimento con il nome immaginario di “Boy Rangers.”

La dedizione e la professionalità di James Stewart colpiscono profondamente i suoi colleghi. Jean Arthur ricorda come Stewart, preso dal suo ruolo, arrivasse ogni mattina sul set a velocità bassissima, terrorizzato che un incidente potesse fermarlo. Thomas Mitchell descriverà Stewart  “l’attore più naturalmente dotato con cui abbia mai lavorato. La sua intensità e il modo in cui trasmetteva autenticità in ogni parola, tanto che Capra doveva solo accendere la macchina da presa e lasciarlo andare.”

Gli attori James Stewart e Jean Arthur insieme al regista Frank Capra sul set del film
 

Capra e il suo team filmano oltre 1.500 metri di pellicola direttamente nella capitale americana, ma incontrano subito un ostacolo: per ragioni di sicurezza, il Senato si rifiuta di fornire le planimetrie dell'edificio, complicando la ricostruzione fedele degli ambienti interni. Per ovviare al problema, il team avvalendosi del prezioso contributo di Jim Preston, realizza un modello in scala dell’intera struttura, includendo ogni dettaglio, dal guardaroba alla sala stampa, per pianificare con precisione ogni ripresa.

Capra si affida alla maestria del direttore artistico Lionel Banks per ricostruire la Camera senatoriale nei teatri di posa della Columbia. Questo set monumentale — chiuso su tutti i lati, con una galleria superiore decorata e busti in gesso di ex presidenti — riproduce perfettamente l’effetto visivo e l'atmosfera della camera senatoriale, creando una struttura simile a un “pozzo” in cui l’azione si svolge su tre livelli: il pavimento della sala, il podio e la galleria della stampa.

Capra investe 100.000 dollari, sei settimane di lavoro e impiega 125 uomini per completare il set, con una cura estrema per i dettagli. Ogni elemento viene meticolosamente ricreato: i pomelli delle porte, le foglie d’acanto e gli arabeschi scolpiti sono tutti riprodotti per conferire un’autenticità visiva assoluta. Incredibilmente, anche l’orologio della sala riporta un lucchetto come quello presente nel vero Senato, aggiunto per evitare che le lancette possano essere spostate e chiudere la seduta prematuramente — un piccolo ma significativo omaggio alla realtà.

L’impegno per le riprese in un set così complesso comporta sfide tecniche di rilievo. Girare in uno spazio così stratificato e affollato non è semplice, ma grazie al supporto dell’operatore Joe Walker, del capo elettricista George Heiger e del tecnico del suono Ed Burns, Capra adotta un sistema innovativo di riprese multiple, utilizzando più macchine da presa e canali audio. Questa soluzione consente di girare fino a sei scene senza dover spostare l’intera attrezzatura, riducendo i tempi e mantenendo la qualità cinematografica del film.

Il set, Jim Preston e Lionel Banks, la riproduzione in scala.
 
Per Mr. Smith va a Washington, Frank Capra sceglie Dimitri Tiomkin, il compositore che ha già realizzato la colonna sonora di Orizzonte perduto e L’eterna illusione e che collaborerà con lui in altre produzioni, tra cui Arriva John Doe e La vita è meravigliosa.
Per questo film, Capra chiede a Tiomkin di creare una colonna sonora che "parli d’America." Tiomkin risponde inserendo nella partitura temi della tradizione folk americana, come “Yankee Doodle” e “My Country, 'Tis of Thee,” mescolando abilmente questi riferimenti patriottici con il suo stile orchestrale epico e coinvolgente. Questo approccio crea un sottofondo emotivo che accompagna il viaggio di Jefferson Smith, rendendo la musica parte integrante della narrazione, capace di sottolineare i temi della democrazia e del patriottismo che animano la storia.
 

Per la première di Mr. Smith va a Washington al Constitution Hall di Washington D.C., il 17 ottobre 1939, Capra e la Columbia decidono di organizzare un evento memorabile, sponsorizzato dal National Press Club e aperto a oltre 4.000 invitati. Tra i partecipanti ci sono senatori, membri della Corte Suprema e figure di rilievo della politica americana. All'esterno, una scenografia con fari e una banda della Guardia Nazionale danno il benvenuto agli ospiti, mentre il Washington Times-Herald dedica all'evento un'edizione speciale.
Durante la proiezione, però, si verifica un problema tecnico: un disallineamento tra audio e video crea confusione e frustrazione tra il pubblico, già messo alla prova dalla rappresentazione controversa della politica nel film. La reazione non tarda a farsi sentire, con alcuni senatori che abbandonano la sala per protesta e altri che gridano verso lo schermo, indignati per il ritratto poco lusinghiero del Senato, descritto come corrotto e manipolato.
Le critiche arrivano anche nei giorni successivi. Alben W. Barkley, senatore e leader della maggioranza, accusa il film di essere “una distorsione grottesca” del Senato, dichiarando che rappresenta l’istituzione come “il più grande agglomerato di imbecilli mai visto.” Anche il senatore James F. Byrnes propone azioni ufficiali contro la distribuzione della pellicola, temendo che possa danneggiare l’immagine degli Stati Uniti, soprattutto all’estero.
Le preoccupazioni varcano l’Atlantico: Joseph P. Kennedy, ambasciatore americano nel Regno Unito, scrive a Capra e al capo della Columbia, Harry Cohn, suggerendo di evitare la distribuzione internazionale del film, temendo che il ritratto negativo del governo possa diventare materiale per la propaganda dei regimi fascisti. Capra e Cohn rispondono inviando recensioni positive e lettere di sostegno della stampa americana, riuscendo in parte a calmare le preoccupazioni di Kennedy, che tuttavia continua a temere per l’impatto del film sulla reputazione americana.
Mr. Smith va a Washington si rivela comunque un successo al botteghino. Al momento dell'uscita, incassa 3,5 milioni di dollari negli Stati Uniti, a fronte di un budget di 1,5 milioni. Questo risultato lo porta a diventare il secondo film con i maggiori incassi del 1939 e il terzo di tutto il decennio, superato solo da Via col vento e Biancaneve e i sette nani.
 
Nominato per 11 Oscar alla cerimonia del 1940, il film ha portato a casa la statuetta per la Migliore Storia Originale, grazie al lavoro di Lewis R. Foster. Le altre nomination includevano Miglior Film, Miglior Regia per Frank Capra, Miglior Attore per James Stewart, e ben due candidature per il Miglior Attore Non Protagonista, andate a Claude Rains e Harry Carey. Sebbene sia stato il kolossal Via col vento a dominare la serata, Mr. Smith va a Washington ha consolidato il proprio posto tra i migliori film dell’anno, confermando la bravura di Capra e la potenza del messaggio del film. 
 
Mr. Smith va a Washington non è stato solo un successo critico ma ha lasciato un segno profondo nel cuore di chi lo ha visto. La figura di Jefferson Smith, con il suo idealismo puro e la sua inflessibile voglia di giustizia, ha ispirato una generazione a credere ancora nei valori democratici e ha persino motivato alcune persone a entrare in politica per portare avanti quegli ideali di integrità e correttezza. Capra ricevette lettere da individui che raccontavano come il film li avesse spinti a candidarsi, vedendo nel personaggio di Smith un esempio di resistenza alla corruzione e alla politica compromessa. 

 
QUOTES:


Paine: Clayton Smith, direttore e editore. Campione delle cause perse.

Jefferson: Mio padre diceva sempre che erano le uniche cause meritevoli.


Clarissa: Quando sono venuta qui, i miei occhi erano punti di domanda blu. Ora sono simboli di dollaro verdi.


Dick: Il suo seggio, Senatore. È un posto illustre. Daniel Webster sedeva qui.

Jefferson: Daniel Webster proprio qui?

Dick: Questo potrebbe essere un bello spunto se parla oggi, Senatore.

Jefferson: Oh no, assisterò soltanto.

Dick: È il sistema migliore. Ecco l’ordine del giorno e quello è il regolamento del Senato. Se qualche cosa le manca, chiami pure me.

Jefferson: Ma il capo della maggioranza dov’è?

Dick: Della maggioranza? Ecco, è lì con il gruppo. È il Senatore Agnew e l’altro è il Senatore Barnes, il capo della minoranza.

Jefferson: E la tribuna della stampa dov’è?

Dick: Vede lassù sopra la poltrona del presidente? In prima fila ci sono i grandi giornali.

Jefferson: Dimmi, e là a sinistra?

Dick: Quell’angolo è riservato ai turisti, assistono alla seduta con le guide e ne sono molto fieri. Quelle poltrone sono per gli ospiti dei Senatori. La prima fila, quella vuota, è riservata agli invitati della Casa Bianca. Quella là ai diplomatici. Gente chic. E sono con noi le uniche persone chic al mondo.


Jefferson: I ragazzi scordano il valore del paese solo leggendo “Terra di Libertà” nei libri di storia. Gli uomini dimenticano anche meglio. La libertà è troppo preziosa per essere seppellita nei libri. Gli uomini dovrebbero tenerla ogni giorno davanti a sé e dire: “Sono libero… di pensare e parlare. I miei antenati non lo erano. Io sì. E anche i miei figli lo saranno.”


Jefferson: Mio Padre aveva avuto un’ottima idea. Aveva compreso tutto. Disse: “Figliolo, non perderti le bellezze che ti circondano. Ogni albero, ogni roccia, ogni formicaio, ogni stella contiene le meraviglie della natura.” Disse, “Hai mai notato quanto tu apprezzi la luce del giorno dopo aver attraversato un lungo tunnel buio? Bene,” disse, “cerca di vedere la vita come se fossi uscito da un tunnel.”


Jefferson: Ho già provato a parlarvi di queste cose ma qualcuno me lo ha impedito. Questa volta però io parlerò, signori. E giuro che non uscirò da questo Senato senza averle dette.


Diz: Scriva: È la più grande battaglia che si possa immaginare. Un Davide senza la fionda si erge e si lancia all’attacco. Gli è contro un potente Golia, tutta la banda Taylor che si dice a torto piena di furfanti. Anzi, tolga “a torto.”


Taylor: È la resa dei conti. Voglio tu tenga fuori dai giornali tutto quello che Smith dice e tutto ciò che può schierare lo stato. Quei giornali all’opposizione che non vogliono giocare con noi, voglio che li blocchi per 24 ore. Fermi le consegne, allontanandoli dalle strade! Li seppellisca per 24 ore, mi dia tempo! Difenda la macchina. Fermi il ragazzo! Le solite cose: criminali, bloccare una legge soccorso, affamare la gente. Joe, vuole tornare al Senato! Ecciti il popolino. Fa che inviino proteste, lettere… Compri ogni minuto di ogni stazione radio dello stato e fa che parlino male di Smith. Non m’importa del prezzo! Smuova lo stato!


Cronista: Metà della Washington ufficiale è qui per vedere il più bello spettacolo democratico: il privilegio di parlare ad oltranza. L’orazione libera in forma drammatica. L’uomo meno importante in quest’aula, una volta presa la parola, può parlare finché riesce a stare in piedi. A meno che non si metta seduto, non se ne andrà né smetterà di parlare.


Jefferson: Alzatevi là con quella Signora in cima al Campidoglio, lei che rappresenta la libertà. Guardate a questo paese con i suoi occhi. Non vedrete solo paesaggi. Vedrete cosa l’uomo ha scolpito per se stesso dopo secoli di lotta per avere più di una legge della giungla. Combattere per poter stare sui suoi due piedi, libero e decoroso, come era stato creato. Non importa la sua razza, il colore o il credo. È questo ciò che vedrete. Non c’è posto là fuori per ingordigia e bugie, o compromessi con le libertà umane. Se questo è ciò che gli adulti hanno fatto a questo mondo, dobbiamo avviare i campi per ragazzi e vedere cosa possono fare i giovani. Non è troppo tardi. Questo paese è più grande dei Taylor, di voi o me o chiunque altro. I grandi principi non si perdono una volta venuti alla luce. Sono qui. Dovete solo vederli.


Jefferson: Il senatore Paine una volta diceva che le cause perse erano le uniche cause per cui combattere. E le combatteva per l’unica ragione per cui un uomo si batte per loro. Per un solo semplice e chiaro precetto: Ama il tuo prossimo. In questo mondo d’odio un uomo che conosce questo precetto ha una speranza.

 
CLIP: 


IL FILM POTETE VEDERLO QUI

Mr. Smith va a Washington non è solo un film; è una dichiarazione di fede nell’integrità e nel coraggio dell’essere umano. Jefferson Smith è l’eroe ideale, un esempio di come il potere di una voce onesta possa risuonare anche nel rumore della corruzione e del compromesso. Attraverso la sua lotta, Capra ci ricorda che, a volte, l’ottimismo e i principi sono le uniche armi per difendere ciò che conta davvero. In un’epoca in cui l’integrità politica sembra un’utopia, il viaggio di Jefferson Smith è più che mai attuale: un inno alla democrazia e alla speranza che, ancora oggi, ispira a lottare per un mondo più giusto. Chiudendo gli occhi, forse sentiamo anche noi l’eco del suo coraggio e ci chiediamo: che cosa farebbe Mr. Smith se fosse al nostro posto?

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